«L'ho strangolata con una cordicella mentre era di spalle e ho abusato di lei dopo che era già morta». È la confessione di Michele Misseri, che ha ammesso di avere ucciso la nipote quindicenne Sarah Scazzi. L'omicidio è avvenuto il 26 agosto nel garage della casa dell'uomo. Prima di occultare il cadavere gettandolo in un pozzo, l'assassino lo ha denudato e successivamente ha bruciato i vestiti. Misseri, 54 anni, ha confessato l'omicidio della nipote mercoledì sera, dopo un interrogatorio durato ore nella caserma dei carabinieri del comando provinciale di Taranto. Ha strangolato la nipote adolescente dopo aver perso la testa per il rifiuto opposto dalla ragazza alle sue ripetute attenzioni morbose. Il corpo di Sarah è stato poi gettato in una sorta di pozzo pieno d'acqua in un podere tra Avetrana e San Pancrazio Salentino, di proprietà della famiglia Misseri, dove è stato trovato in stato molto avanzato di decomposizione.
La morte di Sarah
POZZO - Il cadavere della ragazza è stato recuperato intorno alle 11 di giovedì mattina e trasportato in obitorio con un carro funebre. È stato lo stesso Misseri, verso le 2 di notte, a portare i carabinieri sul luogo esatto. Il corpo di Sarah è stato subito individuato, ma ci sono volute ore per il recupero. La cavità nella quale era stato gettato è un inghiottitoio non profondo ma stretto, che porta a un pozzetto di raccolta di acqua piovana. L'apertura è un buco con un diametro di poche decine di centimetri. Per consentire il recupero del cadavere è stato necessario lo sbancamento di terreno circostante, in gran parte roccioso. Più facile è stato per lo zio gettare il cadavere di Sarah, data l'esilità del corpo della ragazza. «E' una sorta di covo interrato all'interno del suolo con un foro d'ingresso di poche decine di centimetri coperto da rami, foglie e pietre», ha spiegato il procuratore di Taranto, Franco Sebastio. «Era praticamente impossibile accorgersene, forse anche passandoci sopra. Il buco è stato scoperchiato ed è stata accertata la presenza di un cadavere» di sesso femminile «con i capelli biondi» che sarà identificato «anche attraverso l'esame del Dna: il corpo infatti si stava disfacendo, era in stato colliquativo».
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SABRINA - «Mio padre deve pagare per quello che ha fatto». Sabrina Misseri, figlia di Michele, cugina della ragazza, ha risposto al citofono di casa ai giornalisti che volevano parlare con lei. «Non abbiamo nulla da dire - ha risposto Sabrina - mio padre deve pagare per quello che ha fatto».
I volti del giallo
INTERROGATORIO - Ma facciamo un passo indietro. Misseri era stato convocato dai carabinieri mercoledì mattina con la moglie e Valentina, la figlia maggiore, sorella di Sabrina, la cugina con la quale Sarah aveva appuntamento il giorno della sua scomparsa per andare al mare. Madre e figlia sono poi tornate a casa, mentre lo zio è crollato sotto le domande degli inquirenti. Era stato lui stesso il 29 settembre a consegnare ai carabinieri il cellulare di Sarah, privo di batteria e di scheda sim, dicendo di averlo trovato vicino alle stoppie bruciate il giorno prima in un podere nel quale aveva svolto alcuni lavori. Un probabile tentativo di depistaggio che gli si è rivolto contro. La svolta sarebbe giunta con un'intercettazione ambientale della cugina Sabrina, mentre parlava con la madre e diceva piangendo «Tanto lo so che l’ha presa lui». L’intercettazione sarebbe stata cruciale per confermare ai carabinieri che erano sulla pista giusta e poi per far crollare Misseri. L'interrogatorio dello zio di Sara «è stato secretato», ha detto il procuratore. A Misseri sono stati contestati i reati di sequestro di persona, omicidio volontario pluriaggravato e occultamento di cadavere. Al momento non è accusato di violenza sessuale: «Stiamo alle circostanze oggettive emerse dai fatti»», ha aggiunto il magistrato.
Michele Misseri, lo zio di Sarah (Ansa)
«VOLEVA FARSI SCOPRIRE» - Secondo l'avvocato Walter Biscotti, uno dei due legali della famiglia Scazzi, il ritrovamento del telefonino «è stato quasi un modo per dire "venitemi a prendere", una sorta di messaggio per farsi scoprire perché non ce la fa più a mantenere un segreto. È la mia opinione da avvocato, ma di casi simili ne sono successi altri. Altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui ha tirato fuori il telefonino, peraltro gettato lì poco prima del ritrovamento».
LE ACCUSE DELLA MADRE - Certi episodi rivelano che all'interno della famiglia probabilmente alcuni erano a conoscenza delle morbose attenzioni dello zio nei confronti di Sarah, ma finora non avevano parlato. Infatti la madre della vittima accusa anche sua sorella, moglie dello zio assassino, e sua figlia: «Mia sorella Cosima e mia nipote Valentina sapevano». Ma forse anche la cugina Sabrina, che Sarah considerava una sorella maggiore, sapeva qualcosa se, come sembra, le due giovani avevano litigato il giorno prima della scomparsa di Sarah non per gelosia per un ragazzo, come finora dichiarato, ma per le attenzioni che lo zio aveva nei confronti della nipote, la quale aveva chiesto aiuto o un chiarimento proprio alla cugina.
LITE - Sarah dunque potrebbe aver cercato aiuto dalla cugina Sabrina con la quale il 25 agosto per questo motivo avrebbe avuto un violento litigio. Misseri il giorno dopo avrebbe avvicinato ancora Sarah, forse per costringerla a non rivelare le sue richieste. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, intorno alle 15 del 26 agosto, dopo avere ucciso la nipote nel garage di casa, Misseri ha trasportato il cadavere nel portabagagli della sua auto nel terreno ai confini con la provincia di Lecce e l'ha buttato nel pozzo. A quanto si apprende da fonti investigative, si sarebbe trattato di un delitto non pianificato, ma maturato e portato a termine davanti al rifiuto della nipote.
«EVENTUALI COMPLICI» - Infatti la procura di Taranto ha «attività in corso su eventuali complici», ha detto il comandante provinciale dei carabinieri di Taranto, colonnello Giovanni Di Blasio, anche se al momento c'è un solo indagato (lo zio di Sarah, ndr). «Sono necessarie per chiarire aspetti che sono da prendere ancora in considerazione». Secondo l'ufficiale, «il profilo psicologico di chi compie un delitto d'impeto è compatibile con quello di un soggetto che poi simula il ritrovamento casuale del cellulare della vittima e che sa gestire lo stress».