VIOLENZA DI GENERE: LA NARRAZIONE DI UN FENOMENO DI ORIGINE CULTURALE
Sono trascorsi appena pochi giorni da quando è stata sottolineata, nella giornata del 25 Novembre, l'importanza del contrasto alla violenza di genere, a quel fenomeno radicato al passato così come al presente, nella sostanza di una continuità temporale disarmante. Un aspetto cruciale del problema, infatti, risulta essere questo. Il racconto di tale spaccato di realtà è affidato ai numeri inequivocabili che descrivono la nostra quotidianità: dall'inizio di quest'anno, il report elaborato dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza, intitolato Il pregiudizio e la violenza contro le donne, riporta 104 vittime. Un numero superiore a quello presente nei dati elaborati nel 2021.
Nonostante siano state diverse le iniziative, anche a livello legislativo, nate con il proposito di arginare la violenza di genere, il presente continua a non avere la meglio sul passato. Uno scontro che porta forse a domandarsi perché il fenomeno continui a descrivere in modo così preciso e puntuale la nostra realtà. E forse il lettore potrà anche lecitamente chiedersi perché un tema d'attualità abiti una pagina culturale.
Ed è su questo terreno che intende approdare la presente riflessione: all'analisi della natura culturale del fenomeno della violenza di genere, la cui risoluzione richiederebbe innanzitutto un cambiamento dell'insieme di costrutti artificiali e sociali, vale a dire di ciò che prende il nome di cultura.
Il soggetto di quest'analisi, la donna, è vittima di una narrazione che la vede violata fin dall'epoca greco-romana: la violenza e il sessismo, presenti nell'istituzione della polis con la divisione sociale del lavoro ad esempio, hanno cancellato la donna come soggetto individuale, come soggetto politico, portando allo svilimento del proprio corpo, alla sua assimilazione a ''corpo vile''. Un corpo, cioè, su cui l'uomo ha esercitato, fino ai tempi moderni, un potere vitale e mortale.
Si comprende quindi, considerando le origini di questa storia, perché sia ancora più difficile il processo di emancipazione. Il prodotto di questa narrazione è un rancore verso la realizzazione del sesso femminile, in uno stretto gioco di dolore e dipendenza; ed è proprio questo rapporto malato ad aver segnato l'atto costitutivo di una società fondata sul potere patriarcale. Questo ''rancore'' risulta ancor oggi ben evidente, identificabile nella cultura e per certi versi anche nelle istituzioni politiche. Tuttavia, le tracce più tangibili ed evidenti di questa cultura dominata dall'uomo sono lo stupro e il femminicidio, prodotto di quella democrazia che ha faticato, per lungo tempo, a considerare la donna una persona.
Lea Melandri spiega con cura e precisione la natura culturale di questo problema: ''Cercare di combattere la violenza significa ''scavare'' nella nostra cultura e considerare il problema alla radice: nelle istituzioni, nelle condizioni lavorative, nella morale, nella rappresentazione dei media e delle pubblicità, nonché nelle norme non scritte della tradizione e dei saperi colti.''
L'ondata di violenza di cui siamo testimoni ancor oggi, non è altro che il detonatore di una ribellione covata da decenni, da quando le donne hanno cominciato a rivendicare una propria indipendenza aprendo le falle negli squilibri esistenti. Questa ribellione, scritta negli anni Settanta attraverso le teorie e le pratiche del movimento femminile, hanno attraversato il decennio e avviato un processo che è allo stesso tempo crisi e ridefinizione della politica, messa in discussione dell'economia del patriarcato. Il femminile riemerge, mettendo in luce il lungo asservimento al potere patriarcale che l'ha ridotto a vita biologica e non individuale, capacità domestiche, attitudini esclusivamente servili. La storia di un corpo definito per decenni per le sue funzioni, del corpo che ha occupato un posto assegnato dall'uomo, il sesso che, al contrario, ha preteso di poter parlare per altro da sé.
Questa sete di ridefinizione del sesso femminile non si è mai fermata, arrivando al nostro presente, perché ancor oggi purtroppo si continua a dover arginare la violenza nei rapporti di coppia, allontanando l'atto violento dalla libertà della donna di disporre del proprio corpo e della propria indipendenza. Ancor oggi, infatti, risulta necessario per il sesso femminile imparare a capire come riappropriarsi di tutti quei ruoli che da sempre l'attendono.
Guardare il fenomeno della violenza di genere da questo punto di vista significa considerare un ruolo fondamentale della sua risoluzione nel mutamento della nostra tradizione culturale: in tal modo, risulta necessario smascherare i pregiudizi e gli stereotipi di cui si satura la comunicazione mediatica. La vittimizzazione secondaria, la stigmatizzazione di chi compie la violenza, la giustificazione, l'azione come risultato di eventi che esulano dalla reale volontà. Per concludere, insomma, sarebbe lecito presupporre che gran parte del problema si annidi nell'’incapacità dell’uomo di fare i conti con una richiesta di autodeterminazione femminile sempre più forte, necessaria e impellente.
È questo che devono aver pensato, preteso e sperato le donne d'ogni tempo: la necessità di un cambiamento culturale per arrestare una narrazione che per troppo tempo non hanno scritto in prima persona.