Il grande scrittore e poeta tedesco, Johann Wolfgang von Goethe (Francoforte sul Meno, 1749 - Weimar, 1832), sul Lago di Garda – “… non è possibile esprimere l’incanto di questa lussureggiante riviera”! –, a Verona e in Veneto… L’Italienische Reise - Viag
Passeggiando, di recente, lungo le veronesi, straordinarie, lucenti rive gardesane – ora di una cittadina, ora, di un’altra – rive, che parlano, che invitano ad ammirarle e che profondamente e felicemente rasserenano, con la loro bellezza, resa più evidente, da un costante e delicato incresparsi delle azzurre acque del lago – ci sovvenne, d’un tratto, la nota presenza, sul Garda e a Verona, nel 1786, del massimo scrittore e poeta tedesco, Johann Wolfgang von Goethe, durante il suo “Viaggio in Italia”. Pensammo, e pensiamo, al tempo, al grande contributo, che, oggi, definiremmo, modernamente esprimendoci, pubblicitario, che l’illustre letterato e pubblico amministratore, diede, con la sua presenza e con i suoi diari – raccolti, appunto, nell’opera “Italienische Reise” – alla conoscenza, soprattutto, del Garda orientale, in Germania ed in Europa, con i risaputi, positivissimi risvolti, di relazione ed economici, dei quali, più che mai, oggi, godiamo. In tale straordinario quadro, coscienti del fatto che il titolo “Viaggio in Italia”, nel suo complesso, è ampiamente conosciuto, mentre, meno lo sono, i diversi particolari, nell’opera, contenuti, dedichiamo, di seguito e molto in breve, l’attenzione ad alcuni momenti del detto “viaggio”, realizzatisi, in territorio, squisitamente veronese, non tacendo, ovviamente, per completezza e chiarezza, le precedenti, varie tappe, fatte da Goethe, e dovute al mezzo di trasporto, la carrozza, nonché all’allora sconnesso suolo stradale… Partito da Karlsbad, ossia, Karlovy Vary, allora ed oggi, graziosa e celebre città termale ¬– al tempo, di lingua tedesca – della Boemia, regione, attualmente, della Repubblica Ceca, il 3 settembre 1786, Johann Wolfgang von Goethe, non era diretto, invero, una volta superato il Passo del Brennero, alla zona gardesana orientale, ma, ovviamente, via Verona, soprattutto, a Vicenza, per prendere visione delle opere di Andrea Palladio (1508-1580) – ”nobile, geniale rievocatore dell’architettura antica”, egli scrisse. Ma, Goethe fu anche a Padova e a Venezia, dove rimase per diciassette giorni, proseguendo, quindi, via Ferrara, Bologna e Roma, verso il Sud. Ciò, per apprezzare i tesori artistici, lasciatici dall’antico mondo greco, che egli considerava modelli irripetibili di massima perfezione e tali da poter ispirarlo, nell’affinare la sua futura produzione letteraria. Giustamente, data l’occasione, offerta dall’itinerario, egli seppe non trascurare visite a località e città, che incontrava, sul percorso, prendendo buona nota del visitato e della gente incontrata… Lasciate, dunque, dietro alle spalle Brennero, Vipiteno, Bressanone, Colma, Bolzano e Trento…, fu, quindi, a Rovereto, l’11 settembre, da dove riprese il viaggio verso il Sud – la meta finale, accennammo, era la Sicilia – la sera di tale giorno. Diretto a Verona, ma attratto dalla straordinaria bellezza del Lago Garda – “imponente spettacolo della natura” – che, gli appariva, in lontananza, non seppe trattenersi dal cambiare percorso e scese a Torbole, Trento, nel pomeriggio del 12 settembre… Troppo forte era l’attrazione, su di lui esercitata, dall’azzurro dell’ancora distante “Benacus”, il cui nome Goethe conobbe, attraverso la guida da viaggio di Johann Jacob Volkmann (1732-1803), che portava con sé, guida che citava pure, ad hoc, il virgiliano verso “fluctibus et fremitu resonans Benace marino”…, ossia, ‘Benaco, d’onde risuonante e di rumore di mare’… Lasciata Torbole, il 13 settembre, in un barcone, e ammirata, da lontano, la feconda e colorita Limone, con i suoi giardini terrazzati e “piantati a limoni“, procedendo, verso Verona, fu costretto, a causa di un forte vento contrario, la locale ‘Ora’, a fare tappa, la sera del 13 settembre stesso, a Malcesine, la bella, ridente cittadina, con tanto di trecentesco castello scaligero, al confine, allora, fra la Serenissima Repubblica di Venezia e l’impero d’Austria. Considerato una spia, a favore di Vienna, Goethe fu arrestato, ma, la cosa, si risolse in breve, con ottima accoglienza, anche perché riconosciuto, fra l’altro, cittadino della nota Francoforte sul Meno… E Malcesine dedica, oggi, al celebre scrittore e poeta tedesco, von Goethe, che grande ha fatto, e romantico, con la sua presenza e con i suoi diari, il nome di tutto il Benaco, la Sala Goethe, nel citato castello, sala, che propone al visitatore, disegni del monumentale Autore tedesco, dedicati ad aspetti di Malcesine, ritratti durante la sua breve permanenza, in loco. Da Bardolino, convinto che “non è possibile esprimere l’incanto di questa lussureggiante riviera”, Goethe riprese la via di terra, su un mulo, e, il 16 settembre 1786, mise piede in Verona, dove pernottò al già noto “Due Torri”, già, molto precedentemente, “dell’Aquila”, di Piazza Santa Anastasia, il quale fu centrale, elegante alloggio veronese, fra gli altri, anche, per il giovane musicista e compositore salisburghese, Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), prima, e per Johann Gottfried Herder (1744-1803) – amico di Goethe, dopo. Circa tale importante alloggio, si legge in AbeBooks.it e in ‘Eugenio Zaniboni, Alberghi italiani e viaggiatori stranieri, sec. XIII-XVIII, Detken & Rocholl, Napoli, 1921’, p. .37: “… marzo 1751. Fatto è che le “Due Torri” era diventato un albergo di lusso, dei diplomatici, per eccellenza, d’impronta cosmopolita… e con camerieri, che parlavano, francese, tedesco ed inglese”... Quanto all’appena citato J. G. Herder, egli fu colonna portante, accanto a Friedrich Schiller (1759-1805), dell’innovatore e celebre movimento letterario del Klassizismus tedesco. Tornando a Goethe, il primo monumento, che egli visitò, a Verona, ed apprezzò massimamente, anche nell’alto delle sue arcate, fu il romano anfiteatro, Arena, risalente al I secolo d.C., che gli apparve come qualcosa di grandioso, imponente – meglio, se fosse stato pieno di spettatori, per più esattamente valutarne la capacità – di “bene conservato”, dai veronesi, e i cui archi inferiori, volti verso la Bra, dopo secoli, erano ancora animati, dalla presenza di artigiani, con le loro molteplici attività… E fu, appunto, dall’alto dell’Arena, che Goethe trovò, pure, soddisfazione, nel poter osservare il sereno passeggio di uomini e di donne, sull’ampio “marciapiede” della Bra – oggi, il noto “listón”. Non si comprende, come Goethe, abbia trascurato i monumenti del centro veronese, più visitati, da italiani e da stranieri del tempo… Una giustificazione può riguardare le Arche scaligere, che, per essere, in un pur straordinario, leggero, elegante stile gotico, ricordavano, in qualche modo, al nostro amico, in visita, il pesante gotico tedesco, mentre egli tendeva intimamente e fortemente al classico, tentando di avere, come cennato, da esso, ispirazione… Lasciata l’Arena, si trasferì, percorrendo l’attuale corso Porta Palio, alla, da lui definita “ porta più bella di Verona”, ossia, l’allora nota, sotto le voci dialettali veronesi, ‘pòrta stùpa’ o “ porta chiusa”, ed oggi, denominata Porta Palio. La quale – straordinario lavoro dell’architetto veronese, Michele Sanmicheli (1484-1559) – in vero, nella sua imponenza, presenta linee chiare e attraenti, e, quindi, gradite a quel Goethe, che, anche a Verona, era alla ricerca, come cennato, del semplice, del bello e del perfetto divino, nell’arte. Tornato nel centro cittadino, von Goethe ha preso visione del Teatro Filarmonico, in Bra, con le sue “sei grandi colonne ioniche”…, ma, non restandone soddisfatto… Ammirò, invece, la bella collezione di “oggetti antichi, dissepolti, per lo più a Verona e dintorni”…, ordinati “da Maffei”… Un tutto, che, oggi, è l’importantissimo Museo Lapidario Maffeiano…, i cui preziosi pezzi “etruschi, romani e della decadenza”, esposti, sono stati dettagliatamente esaminati da Goethe, che, oltre averli apprezzati, si è sentito, talvolta, commosso, dalle delicate, scultoree raffigurazioni, che gli stessi proponevano… Apprezzato, quindi, quanto si poteva vedere del Palazzo del Provveditore, ossia del governatore veneziano, “appena iniziato”, Goethe ha considerato che lo stesso sarebbe stato, se completato, “un valido modello di arte architettonica”… Vide, quindi, il nostro ospite un “curioso edificio”, il non meglio segnalato, carcere cittadino, che permettendo di osservare i rinchiusi, all’aperto, e facendo, inoltre, percepire “il rumore delle catene”, creava una visione spiacevole… Ma, a Goethe non sfuggiva nulla: all’Uomo di Weimar – città-ducato della Turingia, nella quale egli era amico e collaboratore d’alto rango, nonché ministro, del duca Carlo Augusto, e dalla quale, proveniva – capitò di assistere, nelle vicinanze dell’anfiteatro veronese, ad uno gioco-spettacolo, “nuovo” ed onorato, dalla presenza di folto pubblico, gioco, consistente nello scambio, per due ore, di un pallone, nel caso, fra quattro veronesi e quattro vicentini… , uno dei quali tentava di respingere il pallone, lanciatogli, dagli altri, con una destra rafforzata da un resistente bracciale ligneo… Per Goethe, si trattò di uno spettacolo nuovo, che meritava d’essere presentato, nell’anfiteatro Arena… e che diede il nome a quell’attuale via Pallone, che, oggi, porta al ponte Aleardi… Sempre a Verona, il 17 settembre 1786, Goethe segnalò che non stava facendo il suo “meraviglioso viaggio”, per puro passatempo, ma, “per conoscere sé stesso, attraverso quanto vede”… In tale quadro, visitò ed apprezzò la chiesa di San Giorgio, considerata galleria di importanti dipinti… Nel duomo di Verona, ammirò la grande tela dell’Assunzione della Vergine – anni Trenta del 1500 – di Tiziano, nella quale la Vergine, “mentre è per essere proclamata ‘divina’, volge gli occhi, a terra, verso i suoi fedeli”… Nell’allora galleria Gherardini, il grande Goethe venne a conoscere opere di Alessandro Turchi, detto l’Orbetto (1578.1649): “cose bellissime, di un valente artista”… Visitando, poi, il Palazzo Canossa, nell’oggi corso Cavour, “ha goduto della visione di una ‘Danae’, di rilievo”… Nel sanmicheliano Palazzo Bevilacqua, che guarda, sul corso, appena citato, ed ora, sede, dal 1910, dell’Istituto Tecnico Anton Maria Lorgna, Goethe trovò le ”più squisite opere”, quali il “Paradiso” del Tintoretto (1518-,1594), tutto “leggerezza di tocco, vita e varietà d’espressione”…, apprezzò i ritratti di Paolo Veronese e, nella “splendida collezione di oggetti antichi”, un “figlio di Niobe, steso a terra”, che si trova, oggi, a Monco di Baviera, un Augusto, un Caligola… Pensava, il Poeta e Scrittore tedesco: ”Nella mia indole, è venerare, con gioia, il gande ed il bello”... Bello, che egli incontrò, anche osservando attentamente il grande verde del Giardino Giusti, “che si estende in ottimo posizione” e già, allora, caratterizzato da “cipressi enormi, che toccano il cielo, e che, in Germania, sono imitati, nei nostri giardini, probabilmente, da alberi di Tasso, tosati a punta”… Di tali cipressi, come, del resto, era uso in quel tempo, portò con sé Goethe “un ramoscello”- ricordo, poi, molto osservato, successivamente, dai veronesi, mentre il nostro ammiratore e studioso della natura – egli stese, fra il molto altro, nel successivo 1790, l’opera dal titolo “La metamorfosi delle piante” – rientrava al Due Torri… Abbiamo attinto, per il nostro modesto resoconto, che precede, della goethiana visita a Verona, al prezioso testo dal titolo “Viaggio in Italia”, in tedesco: “Italienische Reise”, contenuto, in J.W. Goethe, Opere, Sansoni, Firenze, 1963, alle pp. 463-480. A questo punto, vorremmo proporre – ad ampliamento e a dolce conclusione, di quanto sopra esposto e, forse, troppo strettamente legato al lato artistico-turistico, della goethiana presenza a Verona – un particolare e per noi, prezioso testo fotocopiato, donatoci, nel lontano settembre 2010, da nostro fratello Paolo, testo, del tutto dedicato, con approfondite considerazioni, alla gente e al territorio, particolarmente, veneti, da Goethe, per primi, necessariamente, visitati, durante il suo programmato e da lui atteso raggiungimento della “terra, in cui, fioriscono i limoni e le arance d’oro, prendono il rosso”… , ossia, dicevamo, la terra di Sicilia, custode di perfetto artistico greco, patrimonio dell’umanità … Ci spiace, tuttavia, di non essere in grado di offrire dati esatti, sulla provenienza del bellissimo testo, che, di seguito, appunto, proponiamo, per la dettagliatissima esposizione del pensiero e delle considerazioni, in esso contenute e , in Goethe, dalla straordinaria visione, a lui offerta, dalle terre, allora veneziane, da lui, di passaggio, visitate, e, come sappiamo, dalla gente, che le abitava. Il testo: “Il viaggio in Italia di Johann Wolfgang von Goethe inizia, nel settembre 1786 e, proprio, dall’area veneta. È amore a prima vista. Qui, Goethe si sente a proprio agio, accolto da una popolazione accogliente, curiosa, allegra e socievole. “Gli italiani mi sembrano davvero una buona razza”, dice parlando dei vicentini. “Che belle figure, che bei visi”! Li sente diversi da sé e, nello stesso tempo, ne rimane profondamente affascinato, tanto che ne desidera approfondire, come può, il carattere, gli usi, le abitudini e le idee. Così, ad ogni piè sospinto, fa fermare la carrozza, nella quale viaggia, per perdersi in piacevoli chiacchere, con le persone, che incontra, il più delle volte, sconosciute. La mitezza della stagione lo favorisce, la dolcezza del paesaggio lo stimola, le persone lo attraggono, sensibilmente. Apprezza la varietà del paesaggio, ma, soprattutto, l’opera meticolosa e l’amore dell’uomo, nel coltivarlo: “Indescrivibile è l’abbondanza, con cui, piante e frutti si affacciano, dai muri e dalle siepi, o pendono dagli alberi. Lo conquista, infine, la varietà d’un territorio unico, che, protetto, a Nord, dalle Alpi, digrada dolcemente verso l’apertura, quasi simbolica, al mare, ad oriente. “Le zucche sembrano schiacciare i tetti e, da stanghe e spalliere pendono i cetrioli più bizzarri”. Lo conquista, infine, la varietà d’un territorio unico, che, protetto, a Nord, dalle Alpi, digrada dolcemente verso l’apertura, quasi simbolica, al mare, ad oriente. Ecco, come, da pochi giorni in Italia, descrive le terre venete, tra Verona e Vicenza. “A Nord, seminascoste dalle nuvole, le montagne tirolesi, coperte di neve, a cui si con giungono, verso nord-ovest, i monti vicentini a ovest, infine, i vicini colli d’Este, dei quali si possono ammirare chiaramente le linee ondulate. Verso sud-est, un verde mare di piante senza traccia di elevazione, alberi su alberi, boschetti, accanto a boschetti, piantagioni, una dopo l’altra, innumerevoli case, ville e chiese, occhieggianti, bianche, tra il verde. All’orizzonte (…), distintamente, il campanile di San Marco di Venezia ed altre torri, più basse”. A leggere queste righe, si direbbe che il suo obiettivo stilistico sia quello di raccontare, in modo sintetico l’estrema varietà paesaggistica, ambientale, territoriale e culturale delle nostre terre. Tuttavia, oltre la suggestione delle descrizioni e labilità linguistica, sembra non riuscirvi pienamente. O meglio, riuscirvi solo in parte. L’impressione, che si ha leggendo l’inizio del “Viaggio in Italia” è quella di un’enorme fascinazione subita dallo scrittore, ma, di una insormontabile difficoltà: quella di trovare l’identità nelle differenze, le peculiarità, nella molteplicità. Il Veneto di Goethe è un luogo pittoresco di gente allegra, operosa ed accogliente. Una specie d’affresco colorito e luminoso, di cui, però, non si riesce mai a penetrarne l’intima essenza. Perché, in fondo, è così a un occhio esterno. Il Veneto si configura come il territorio della diversità e delle variazioni, alle volte, impercettibili. E queste, anche ad uno sguardo molto attento, quale quello di un genio sottile, come Goethe, spesso sfuggono, affascinati, come si è, dai colori cangianti della pluralità”. …Una descrizione-meditazione eccezionale, della quale vorremmo conoscere l’Autore… Comunque, un modesto invito: leggiamo e rileggiamo l’“Italienische Reise” o il “Viaggio in Italia”, opera, che raccoglie tutti i diari del goethiano viaggio, da Nord a Sud della Penisola, per gustare veramente il bello dello scrivere e del pensiero di Goethe, sul suo viaggio e sull’Italia d’un tempo, e per apprendere e gustare quanto, spesso, affrettati, forzati studi, concentrati, su inutili nozionismi, ci hanno fatto e ci fanno trascurare. Nella foto: Johann Wolfgang von Goethe, nel suo studio, mentre detta un testo…
Pierantonio Braggio

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