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Luned 18 Agosto 2025
Veneto: crolla il numero degli artigiani. Nei piccoli paesi, bisogna istituire un reddito di gestione delle attività artigiane. Le situazioni più critiche, a Rovigo, Verona e Padova

CGIA Mestre, 16 agosto 2025. “Negli ultimi 10 anni, il numero degli artigiani[1] presenti in Veneto ha subito un crollo verticale di quasi 44.500 unità. Se, nel 2014, ne contavamo 186.398, l’anno scorso la platea è scesa a 141.958 (-24 per cento). Pertanto, possiamo affermare, con grande preoccupazione, che, in due lustri, quasi un artigiano veneto su quattro ha gettato la spugna. Anche nell’ultimo anno la contrazione è stata importante: tra il 2024 e il 2023 il numero complessivo è sceso di oltre 7.500 unità (-5,1 per cento). Sia chiaro: non è un problema solo del Veneto. La riduzione ha interessato tutte le regioni d’Italia, nessuna esclusa. Nell’ultimo decennio le aree più colpite da questa “emorragia” sono state le Marche (-28,1 per cento), l’Umbria (-26,9), l’Abruzzo (- 26,8) e il Piemonte (-26). Il Mezzogiorno, invece, è stata la ripartizione geografica che ha subito le “perdite” più contenute. Grazie, in particolare, agli investimenti nelle opere pubbliche legati al PNRR e agli effetti positivi derivanti dal Superbonus 110 per cento, il comparto casa ha “frenato” la caduta del numero complessivo di artigiani di questa ripartizione geografica. La denuncia è sollevata dall’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato i dati dell’INPS. Sono a rischio le riparazionimanutenzioni. Se già oggi quando si rompe una tapparella, il rubinetto del bagno perde acqua o dobbiamo sostituire l’antenna della Tv trovare un professionista del settore è molto difficile, figuriamoci, fra qualche tempo. A seguito del progressivo invecchiamento della popolazione artigiana e la corrispondente contrazione dei giovani, che si avvicinano a questi mestieri, trend accelerato anche del forte calo demografico in atto, è molto probabile che entro una decina di anni reperire sul mercato un idraulico, un fabbro, un elettricista o un serramentista in grado di eseguire un intervento di riparazionemanutenzione, presso la nostra abitazione o nel luogo dove lavoriamo sarà un’operazione quasi impossibile. Crollo dovuto anche a fusioni e acquisizioni di impresa. Va comunque segnalato che questa riduzione in parte è anche riconducibile al processo di aggregazioneacquisizione che ha interessato alcuni settori dopo le grandi crisi 20082009, 20122013 e 20202021. Purtroppo, questa “spinta” verso l’e aziendale ha compresso la platea degli artigiani, ma ha contribuito positivamente ad aumentare la dimensione media delle imprese, spingendo all’insù anche la produttività di molti comparti in particolare, del trasporto merci, del metalmeccanico, degli installatori impianti e della moda. Le cause delle chiusure. L’invecchiamento progressivo della popolazione artigiana, provocato in particolar modo anche da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata, nei decenni scorsi, dalla grande distribuzione, dal commercio elettronico, dalla burocrazia, dal boom del costo degli affitti e dalle tasse nazionalilocali hanno costretto molti artigiani ad alzare bandiera bianca. Una parte della “responsabilità”, comunque, è ascrivibile anche ai consumatori, che in questi ultimi tempi hanno cambiato radicalmente il modo di fare gli acquisti, sposando la cultura dell’usa e getta, preferendo il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile fatto su misura sono ormai un vecchio ricordo il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo on-line o preso dallo scaffale di un grande magazzino. Rimettere al centro l’istruzione professionale. Negli ultimi 45 anni, sostiene la CGIA, c’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale. L’artigianato è stato “dipinto” come un mondo residuale, destinato al declino e, per riguadagnare il ruolo, che gli compete, ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’nanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Oggi, invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie b e in taluni casi addirittura di serie c. Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno i ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio. Per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore. E nonostante la crisi e i problemi generali che attanagliano l’artigianato, non sono pochi gli imprenditori di questo settore che da tempo segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo. Parrucchieri, estetiste, gelatai, pizzerie per asporto e informatici sono in controtendenza. Non tutti i settori artigiani hanno sentito gli effetti della crisi. Quelli del benessere e dell’informatica presentano dati in controtendenza. Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un aumentotenuta degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. Va altrettanto bene anche il comparto dell’alimentare, con risultati significativamente positivi per le gelaterie, le gastronomie e le pizzerie per asporto ubicate, in particolare, nelle città ad alta vocazione turistica. Istituire un reddito di gestione delle botteghe artigiane. I piccoli negozi e le botteghe artigiane giocano un ruolo fondamentale nei centri storici, nelle piccole comunità e nei borghi, contribuendo all'identità culturale, all'economia locale e al mantenimento del patrimonio storico. Queste attività, spesso situate in edifici storici, arricchiscono l'ambiente urbano con la loro presenza e le loro creazioni, attirando turisti e residenti interessati alla tradizione e all'artigianato di qualità. Va ricordato, infine, che la decisa riduzione del numero degli abitanti, che da qualche decennio sta interessando molte aree del Paese (territori di montagna, zone collinari, paesi di provincia, etc.), ha causato una forte contrazione del numero dei negozibotteghe artigiane. Un fenomeno molto complesso che ha deteriorato il tessuto urbano e la qualità della vita di molti contesti territoriali. Per questo sarebbe opportuno progettare un “reddito di gestione delle botteghe commerciali e artigiane”, per chi (giovane o meno) gestisce o apre una attività nei centri minori (fino a 10.000 abitanti), compatibile con la residenzialità. La politica sta correndo ai ripari, in arrivo la riforma della legge quadro n° 4431985. A quarant’anni dall’entrata in vigore della legge quadro n° 443, il Parlamento ha avviato, da alcuni mesi, un percorso di riforma dell’artigianato destinata a superare i vincoli normativi che limitano lo sviluppo di 119.400 imprese artigiane, attive presenti nel Veneto[2]. Tra le novità previste, vi è la possibilità, per quelle che operano nel settore alimentare, di vendere direttamente al pubblico i prodotti di propria produzione. Altro aspetto significativo riguarda la maggiore flessibilità nella costituzione dei consorzi, che potranno includere anche le Pmi non artigiane. Di rilievo è inoltre la proposta di istituire un fondo biennale da 100 milioni di euro, per facilitare l’accesso al credito, con il supporto di Confidi e della nuova Artigiancassa. Infine, l’innalzamento del tetto occupazionale da 18 a 49 addetti consentirebbe al nostro Paese di allinearsi alle normative europee. Riportiamo più sotto i punti che dovrebbero qualificare la riforma: v incentrare la disciplina sulla figura dell’imprenditore artigiano v rivedere i vincoli societari relativi all’impresa artigiana v definire il perimetro di attività del settore v valorizzare il ruolo formativo dell’artigiano v istituire una commissione consultiva per l’artigianato presso il Ministero del Made in Italy. Le situazioni più critiche a Rovigo, Verona e Padova. Nell’ultimo decennio. la provincia veneta, che ha sofferto la contrazione del numero di artigiani più importante, è stata Rovigo. Il capoluogo polesano ha registrato una diminuzione del 31,4 per cento (-2.905 artigiani). Seguono Verona con il -27 per cento (-9.726) e Padova con il -24,3 per cento (-9.130). La realtà che, invece, ha subito la riduzione più contenuta è stata la Città Metropolitana di Venezia con il -20,3 per cento (-5.552). Nell’ultimo anno, infine, la situazione più critica ha riguardato la provincia di Treviso, che ha subito una diminuzione del numero degli artigiani del 6,1 per cento (-1.720)”.
___________________ [1] La categoria è costituita da titolari, soci e collaboratori familiari. Per i dati dell’anno 2014 si fa riferimento al comunicato INPS del 2024 che riprende la serie storica sino ai 9 anni precedenti. I dati dal 2015 al 2024 fanno invece riferimento alla pubblicazione di quest’anno (giugno 2025) e al relativo database ricostruito per il periodo 2015-2024. [2] Dato riferito al 31 dicembre 2024. Attenzione: il numero degli artigiani non corrisponde al numero delle imprese artigiane attive. Se nel primo caso ci riferiamo alle “teste” (titolari, soci e collaboratori familiari), nel secondo caso, invece, prendiamo in considerazione il numero delle unità locali.
Il tema del artigianato e della quasi forzata sparizione dello stesso, alla quale abbiamo assistito e, terrorizzati, assistiamo, preoccupa, soprattutto, il piccolo consumatore e chi del prezioso artigianato si serviva e si serve – e lo confermiamo noi stessi, in base a inveterata esperienza – perché, sebbene, qui se ne parli, quasi, da un punto di vista egoistico, non si può fare a meno d’affermare che, oltre a quella particolare vivacità economica, che l’artigianato creava e crea, con la sua assenza, sempre più mancata, viene a mancare, nelle città e nei paesi, un qualcosa, che, di città e di paesi era ed è vita. Vita, perché oltre ai portafogli grandi ed abbondanti, nella società, vi sono anche portafogli, nei quali, prima di spendere, il denaro deve venire attentamente contato, mentre, improvvise esigenze, collegate, ad esempio, a gas, corrente elettrica, acqua, riscaldamento ed altro, devono essere rapidamente risolte. Cosa, che, solo difficilmente viene risolta. Un esempio? Il sottoscritto aspetta – sicuramente una non novità – un antennista, già prenotato, da più di un anno… E non parliamo di altre, per così dire, specialità, per le quali, neanche si sa a chi rivolgerci. Ma, come sopra cennato, non va trascurato il fatto, che, sino a qualche decennio fa, in città e paesi, mai mancavano laboratori e negozietti, esercitanti diversi mestieri, che, in un modo o nell’altro, riparavano e sistemavano oggetti diversi ed altro… Ora, fra l’altro, non si trova, più, neanche un falegname. Tutta gente, che svolgeva, sia pure piccoli compiti, ma tutti di grande utilità per la società… Il perché di tutto questo, è bene evidenziato, qui sopra, da CGIA Mestre, dei saggi suggerimenti della quale la politica deve prendere atto, trasformandoli in realtà, supportando l’artigianato, al tempo, per garantire al consumatore quel minimo di collaborazione, di solito, necessariamente immediata, e, quindi, di certezze, alla concretizzazione delle quali, solo l’artigiano, con la sua modestia, ma, con grande esperienza, è in grado di essere d’aiuto. All’artigiano va riconosciuta maggiore dignità, tenendo presente che, come si nota, in eventi negativi, che accadono, purtroppo, tutti i giorni, non occorre la laurea – che è, senza dubbio, importante bagaglio culturale – ma, solo ed esclusivamente “saper fare” e, quindi, “sapere fronteggiare”, con esperienza, saggezza ed rapidità, ogni urgenza, anche modesta, così come sapeva fare e sa fare “l”artigiano”.
Pierantonio Braggio



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