La Pubblica Amministrazione veneta paga le PMI, in grande anticipo. CGIA Mestre.
Nel liquidare i propri fornitori, la Pubblica Amministrazione, in Veneto, è tra le più “tempestive” d’Italia, con tempi medi di pagamento nettamente inferiori ai limiti stabiliti per legge[1]. Analizzando l’Indicatore di Tempestività dei Pagamenti (ITP)[2] della nostra Regione, delle Aziende ospedaliere, delle Province e dei Comuni capoluogo, scorgiamo che nel 2023 la più rapida a liquidare i fornitori è stata l’ULSS 4 del Veneto Orientale, che l’ha fatto con 40 giorni di anticipo. Tra le Province, invece, spicca il risultato di Verona, che ha pagato quasi 26 giorni prima, mentre tra le Amministrazioni comunali capoluogo di provincia, la più virtuosa è stata Padova, saldando i fornitori, con un anticipo di 21,5 giorni. Nel 2023, nessuna delle 25 realtà monitorate dall’Ufficio studi della CGIA ha pagato i fornitori in ritardo. A quali fatture ci riferiamo? Di quelle riconducibili ad acquisti, consumi, forniture, manutenzioni, formazione del personale e spese energetiche. Ricordiamo che nel 2023 lo Stato italiano ha sostenuto un costo complessivo di 122 miliardi di euro[3], ma ancora una volta non è riuscito a onorare tutti gli impegni economici, presi con i propri fornitori. Se, come dicevamo, continua CGIA Mestre, in Veneto la situazione è virtuosa, in altre parti del Paese, invece, non lo è affatto; soprattutto nel Mezzogiorno. I debiti commerciali della nostra Pubblica Amministrazione (PA), infatti, continuano ad ammontare a circa 50 miliardi di euro[4], un importo che è praticamente lo stesso da almeno 5 anni. Di questi, almeno 5 miliardi, stima l’Ufficio studi della CGIA, sarebbero in capo alle aziende venete. Come è possibile questa situazione se le Amministrazioni pubbliche presenti in Veneto sono così veloci nei pagamenti? In primo luogo perché molte aziende venete lavorano anche per grandi aziende pubbliche, ministeri, regioni, ASL o enti locali di altri territori e in secondo luogo perché, come ha sottolineato anche la Corte dei Conti, in una delle sue ultime relazioni[5], nelle transazioni commerciali con le aziende private la nostra PA, in particolare al Sud, sta adottando una prassi, che definire “diabolica” è forse riduttivo; salda le fatture di importo maggiore entro i termini di legge, mantenendo così l’ITP entro i limiti previsti dalla norma, ma ritarda intenzionalmente il saldo di quelle con importi minori, penalizzando, così, le imprese fornitrici di prestazioni di beni e servizi con volumi bassi; cioè le piccole imprese. Non solo. Da qualche tempo si è consolidata una nuova pratica, “imposta” da molti dirigenti pubblici, anche di società collegate alle regioni e agli enti locali, che decidono unilateralmente quando i fornitori devono emettere la fattura. Se questi ultimi non si “attengono” a questa disposizione, lavorare in futuro per questo ente/società sarà difficile. Dando l’autorizzazione all’emissione della fattura solo quando l’Amministrazione dispone dei soldi per liquidarla, queste strutture pubbliche riescono a “rispettare” i tempi di pagamento, “aggirando” così le disposizioni previste dalla legge. Una forma di abuso della posizione dominante, che risulta essere decisamente “ripugnante”. Su 15 ministeri, 9 non rispettano la norma. Anche i ministeri italiani faticano a rispettare le disposizioni previste dalla legge in materia di tempi di pagamento riferiti alle transazioni commerciali. L’anno scorso nove ministeri su 15 (vale a dire il 60 per cento del totale) hanno liquidato i propri fornitori in ritardo rispetto alle scadenze contrattuali. Maglia nera il ministero del Turismo, con un ritardo di 39,72 giorni. Seguono l’Interno con +33,52, l’Università e la Ricerca con +32,89 e la Salute con +13,60. Il più virtuoso, invece, è stato il ministero dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, che ha pagato con un anticipo di 17 giorni. L’UE ci ha richiamati più volte. Con la sentenza pubblicata, il 28 gennaio 2020, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che l’Italia ha violato l’art. 4 della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra amministrazioni pubbliche e imprese private. Sebbene, in questi ultimi anni, i ritardi medi con cui vengono saldate le fatture in Italia siano in leggero calo, il 9 giugno 2021 la Commissione Europea ha avviato nei confronti del nostro Paese una nuova procedura di infrazione, sempre per la violazione della direttiva, richiamata più sopra, in relazione al noleggio di apparecchiature per le intercettazioni telefoniche e ambientali nel quadro delle indagini penali. Il 29 settembre 2022, invece, la Commissione ha aggravato la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e, infine, ad aprile 2023, in relazione a una presunta violazione della Direttiva, sui pagamenti a carico del sistema sanitario della regione Calabria, ci ha fatto pervenire una lettera di messa in mora. Consentire la compensazione tra i debiti fiscali e i crediti commerciali. Per risolvere questa annosa questione, che sta mettendo a dura prova tantissime Pmi, in particolare del Mezzogiorno, per l’Ufficio studi della CGIA, c’è solo una cosa da fare: prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della PA e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario. Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema, che ci trasciniamo da decenni e che continua a minare la tenuta finanziaria di moltissime micro - e piccole imprese. __________________________ [1] Dal 2013, a seguito del recepimento nel nostro ordinamento della normativa europea contro i ritardi di pagamento (Direttiva UE/2011/7), i tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra enti pubblici italiani e aziende private non possono superare di norma i 30 giorni (60 per alcune tipologie di forniture, in particolare quelle sanitarie). [2] Stabilisce il ritardo/anticipo medio di pagamento ponderato tenuto dalla PA nelle transazioni commerciali con le imprese private. L’ITP è calcolato come la somma, per ciascuna fattura emessa a titolo corrispettivo di una transazione commerciale, dei giorni effettivi intercorrenti tra la data di scadenza della fattura o richiesta equivalente di pagamento e la data di pagamento ai fornitori moltiplicata per l'importo dovuto, rapportata alla somma degli importi pagati nel periodo di riferimento (Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze). [3] Stiamo parlando dei cosiddetti “consumi intermedi” della Pubblica Amministrazione. [4] Banca d’Italia, Relazione annuale, Roma, 31 maggio 2024, pag. 148. [5] Relazione sul rendiconto generale dello Stato 2022, Volume I, I conti dello Stato e delle politiche di bilancio 2022, Tomo I, 28 giugno 2023.
Preoccupa, dunque, e non da oggi, il tema dei ritardati pagamenti, da parte della PA, soprattutto, nei confronti delle PMI, che, data la contenutezza della loro attività, maggiormente risentono della mancanza di quella liquidità, derivante da un pronto saldo – previsto e raccomandato, peraltro, anche da norme europee – delle loro forniture. La soluzione, semplice e del tutto funzionale, sarebbe, o meglio, è quella, suggerit, da CGIA Mestre, soluzione, consistente nella “compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi, liquidi ed esigibili, maturati da una impresa nei confronti della PA, e i debiti fiscali e contributivi, che la stessa deve onorare all’erario”. Certo, questa soluzione, dovrà semplificare e non creare ulteriore burocrazia. Lode a Verona e a Padova, per l’ottimo, citato comportamento, nel provvedere ai saldi dovuti. Da notare che, in mancanza di liquidità, un’azienda deve ricorrere a linee di credito, con, ovviamente, relativi costi. Facilitiamo l’impresa.
Pierantonio Braggio