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Domenica 5 Gennaio 2025
CGIA Mestre, 4 gennaio 2025: Multinazionali da record: producono il 40% del fatturato regionale e danno lavoro al 22% dei veneti. Ma le tasse le pagano in Italia? “Nonostante il Veneto continui a essere una regione caratterizzata da un forte tessuto di piccole e medie imprese, l'impatto economico e occupazionale delle multinazionali, sia italiane, che estere, è sempre più significativo. Tuttavia, tale impatto risulta mediamente inferiore, rispetto ai risultati ottenuti dalle altre principali regioni del Nord Italia. In questo contesto, emerge un crescente interrogativo: le multinazionali contribuiscono realmente al sistema fiscale italiano? I pochi dati statistici disponibili sembrano indicare che, grazie a pratiche sistematiche di elusione fiscale, il loro apporto alle finanze pubbliche appaia piuttosto esiguo. L’analisi che ne consegue è stata realizzata dall'Ufficio studi della CGIA. Le performance occupazionali ed economiche. A fronte di oltre 1.780.000 addetti, presenti in Veneto[1], ad esempio, gli occupati nelle multinazionali (siano esse estere o italiane, presenti nella nostra regione) sono 391.300, pari al 22 per cento del totale regionale. La media nazionale è pari al 20 per cento. Tra le principali regioni settentrionali, tale quota, sul totale occupati regionali, sale al 22,4 in Liguria, al 24,4 in Emilia Romagna, al 25,1 in Friuli Venezia Giulia, al 25,3 in Piemonte e al 27 per cento in Lombardia. Se, invece, parliamo di fatturato, il dato annuo riferito al sistema produttivo del Veneto è di 429,5 miliardi di euro, mentre, la quota riconducibile alle big company è di quasi 172 miliardi di euro. Ciò vuol dire che il 40 per cento del fatturato prodotto dalle imprese private in Veneto è riconducibile alle multinazionali italiane o estere che hanno delle società controllate, che operano nella nostra regione. Il dato medio nazionale è del 45,7 per cento. Su base regionale, tale dato è del 42,9 in Emilia Romagna, sale al 43,2 in Piemonte, al 49,8 in Friuli Venezia Giulia, al 51,8 in Liguria e al 52,6 per cento in Lombardia. Purtroppo non ci sono dati statistici, in grado di dirci quante sono le sedi delle multinazionali presenti in Italia e nemmeno la loro distribuzione territoriale. Gli unici dati disponibili sono riferiti alle unità locali[2]. Ebbene, in Veneto le multinazionali estere e quelle tricolori presentano 15.272 unità locali, mentre il dato regionale complessivo è pari a 435.407; pertanto l’incidenza è del 3,5, contro una media nazionale del 2,8 per cento. A livello territoriale, infine, in Liguria il 3 per cento è riconducibile a queste grandi holding, in Emilia Romagna il 3,4, in Piemonte il 3,7, nella Provincia Autonoma di Bolzano il 4,1, in Lombardia il 4,2 e in Friuli Venezia Giulia - che possiede il record nazionale - la quota è del 4,4. In Italia le big tech pagano poche tasse. Secondo l’Area Studi di Mediobanca, nel 2022 le società controllate dalle prime 25 multinazionali del web, presenti in Italia[3], hanno fatturato ben 9,3 miliardi, ma hanno pagato all’erario solo 206 milioni di euro[4] di imposte. Purtroppo, non ci sono altre statistiche, in grado di dimensionare il gettito fiscale versato dall’intero universo delle multinazionali, presenti nel nostro Paese[5]. L’unico dato aggiuntivo in grado di fotografare, con una maggiore precisone, queste realtà è di fonte Istat: il numero delle multinazionali estere presenti in Italia attraverso delle società controllate ammonta a 18.434[6]. Super-ricchi e multinazionali le tasse le pagano in Italia? Siano essi persone fisiche o società , molti contribuenti italiani si sono trasferiti in particolare a Montecarlo e in Lussemburgo. Infatti, circa 8mila connazionali hanno deciso di trasferire la residenza nel Principato di Monaco, per via delle tasse zero sul reddito e sugli immobili. Tra questi ci sono grandi imprenditori, sportivi e celebrità dello spettacolo. Nel Granducato del Lussemburgo, invece, possiamo trovare ben sei banche italiane, una cinquantina di fondi d'investimento, vari istituti assicurativi e molte multinazionali nazionali e straniere, che operano nel nostro territorio. Si stima che grazie ai super-ricchi, con la residenza all’estero e alle manovre borderline delle multinazionali[7] e dei grandi gruppi industriali, che si rifugiano nei paradisi fiscali di tutto il mondo, ogni anno “sfuggono” all'erario italiano circa 10 miliardi di euro[8]. I paradisi fiscali sono dietro l’angolo. Ogni volta che si parla di paradisi fiscali, ci viene subito in mente qualche isola sperduta nei Caraibi. In realtà sono micro-Stati, molto più vicini a noi di quanto pensiamo; i più importanti sono praticamente dietro l'angolo. Secondo uno studio recente del World Inequality Lab[9], i primi cinque paradisi fiscali al mondo sono il Principato di Monaco, il Granducato del Lussemburgo, il Liechtenstein e le Channel Islands, che sono situate nel canale della Manica[10]. Solo al quinto posto troviamo le Bermuda, che sono l'unico paradiso fiscale non europeo di questa black list. Questi posti hanno pochissimi abitanti, ma vantano redditi pro capite, che non hanno eguali nel resto del mondo. Si restringe la base imponibile, siamo tutti più poveri. Quando questi elusori fanno profitti miliardari senza pagare le tasse nel nostro Paese, non fanno altro che impoverirci. Le multinazionali, ad esempio, usufruiscono delle nostre infrastrutture materiali (porti, aeroporti, strade, ferrovie), ricorrono a quelle sociali (giustizia, sanità , scuola, università ), sfruttano quelle immateriali (reti informatiche), senza però contribuire con le tasse come dovrebbero. Non solo. Spesso per insediarsi in Italia, queste big company usufruiscono di agevolazioni/incentivi pubblici e, quando, sono in difficoltà e devono affrontare situazioni di riorganizzazione aziendale ricorrono a piene mani alle indennità erogate dall’Inps che, molto spesso, solo in minima parte sono state compensate dai contributi versati da questi giganti industriali. Tutto ciò fa diminuire la base imponibile su cui si applicano le aliquote fiscali e conseguentemente anche il gettito che finisce nelle casse dell’erario. Risultato? Le disuguaglianze aumentano e la povertà cresce; gli altri contribuenti devono pagare di più per servizi spesso insoddisfacenti. Se invece tutti pagassero ciò che devono, lo Stato incasserebbe di più e la maggior parte dei cittadini pagherebbe meno: avremmo così maggiori risorse per aiutare chi è in difficoltà e potremmo ottenere una giustizia sociale migliore. E’ arrivata la Global minimum tax, anche se non in tutta UE. Per contrastare quei paesi, che applicano alle big company politiche fiscali compiacenti, dal 2024 è entrata in vigore la Global minimum tax (Gmt). Secondo il dossier curato dal Servizio Bilancio dello Stato della Camera[11], il gettito previsto dalla sola applicazione dell’aliquota del 15 per cento sulle multinazionali sarà molto contenuto. Si stima che nel 2025 il nostro erario incasserà 381,3 milioni di euro, nel 2026 427,9 e nel 2027 raggiungerà i 432,5. Nel 2033, ultimo anno in cui nel documento si stimano le entrate, le stesse dovrebbero sfiorare i 500 milioni di euro. L’anno scorso la Gmt ha interessato 19 paesi UE: Spagna e Polonia, invece, l’applicheranno da quest’anno, mentre Estonia, Lettonia, Lituania, e Malta hanno ottenuto una proroga sino al 2030. Cipro e Portogallo, infine, sono chiamate a rispondere alla sollecitazione giunta da Bruxelles, che ha recapitato loro una lettera di messa in mora. Appare evidente che, per le grandi holding presenti in UE, rimane ancora la possibilità , almeno per i prossimi cinque/sei anni, di spostare parte degli utili in alcuni paesi membri, dove la tassazione continua essere molto favorevole. Breve considerazione su elusori ed evasori.
Facciamo una breve riflessione sulla differenza tra elusori ed evasori fiscali: non possiamo ignorare il fatto che entrambi, nel rispetto di quanto previsto dalla legge, vanno contrastati. Ma c'è una sottile distinzione da fare. Gli elusori “scappano” con i soldi all'estero, aggirando il fisco, mentre gli evasori magari non pagano quanto dovrebbero, ma, nella maggior parte dei casi, spendono gran parte dei soldi non versati allo Stato, qui da noi. Certo, questo non giustifica per alcun motivo il loro comportamento, perché evadere è comunque un reato. Tuttavia, moralmente parlando, è sicuramente più accettabile rispetto a chi decide di fuggire, ad esempio, nei Paesi off-shore; entrambi, comunque, restano comportamenti sbagliati, riprovevoli e inaccettabili, che a lungo andare minano la coesione sociale di un Paese. Quando un Paese è un paradiso fiscale. Le caratteristiche dei Paesi black list, da considerarsi come paradisi fiscali, sono state definite dall’OCSE già nel 1998, in occasione della pubblicazione del rapporto “Harmful Tax Competition - An Emerging Global Issue”, nei seguenti punti: sostanziale mancanza di imposte, sui redditi delle imprese costituite, nei propri territori; assenza, all’interno dei rispettivi ordinamenti giuridici, dell’obbligo, per le società ivi costituite, di svolgere un’affettiva attività d’impresa nei relativi territori; poca trasparenza del sistema legislativo e amministrativo, che consente a determinati soggetti di beneficiare di privilegi, in termini di ridotta tassazione dei redditi; assenza di alcun meccanismo di scambio delle informazioni fiscali tra tali Paesi e gli altri Stati, finalizzato a garantire la potestà impositiva di questi ultimi e a combattere i fenomeni di evasione ed elusione fiscale internazionale.
–––––––––––––––––––––––––––––– [1] Istat, Struttura e competitività delle imprese multinazionali, Anno 2022, Roma 11 novembre 2024. Questi dati non includono né l’agricoltura, né la Pubblica Amministrazione. [2] Secondo l’Istat, l’unità locale corrisponde a un’unità giuridico-economica o ad una parte dell'unità giuridico-economica situata in una località topograficamente identificata. In tale località , o da tale località , una o più persone svolgono (lavorando eventualmente a tempo parziale) delle attività economiche per conto di una stessa unità giuridico-economica. Secondo tale definizione sono unità locali le seguenti tipologie, purché presidiate da almeno una persona: agenzia, albergo, ambulatorio, bar, cava, deposito, garage, laboratorio, magazzino, miniera, negozio, officina, ospedale, ristorante, scuola, stabilimento, studio professionale, ufficio, cantiere edile, ecc.[3] Adobe, ADP, Alibaba, Alphabet, Amazon (10 società con sede in Italia), Booking, IBM, JD.com, Meta, Microsoft, Oracle, Otto, SAP, Salesforce, Uber e Vipshop.[4] Software & Web Companies (2019-2023), Milano, 14 dicembre, 2023. L’importo di 206 milioni di euro include anche la Digital Service Tax. Quest’ultima è un’imposta pari al 3% dei ricavi generati nel periodo di imposta derivanti dalla fornitura di servizi digitali, applicata alle imprese che, individualmente o a livello di gruppo, hanno realizzato un ammontare di ricavi pari o superiori a 750 milioni di euro e ricavi derivanti da servizi digitali realizzati nello Stato italiano non inferiori a 5,5 milioni di euro.[5] Siano esse estere o italiane.[6] Struttura e competitività delle imprese multinazionali, Anno 2022, Roma 11 novembre 2024. [7] L’Istat le suddivide in tre gruppi: Multinazionali di grande dimensione. Questa tipologia comprende i gruppi multinazionali, che presentano un fatturato consolidato del gruppo superiore a 500 milioni di euro e/o un numero di imprese controllate all’estero maggiore o uguale a 20. Multinazionali di media dimensione. Questa tipologia comprende i gruppi multinazionali con un fatturato consolidato del gruppo, compreso tra 50 milioni e 499 milioni di euro e/o un numero di controllate all’estero, compreso tra cinque e 19. Multinazionali di piccola dimensione. Questa tipologia comprende i gruppi multinazionali con un fatturato consolidato del gruppo minore di 50 milioni di euro e/o un numero di imprese controllate all’estero minore di cinque.[8] Angelo Mincuzzi (2024), Europa parassita, ed. Chiarelettere. [9] https://wid.world/news-article/inequality-in-2024-a-closer-look-at-six-regions/. [10] Sono dipendenti della Corona britannica, anche se non fanno parte del Regno Unito.[11] Schema di decreto legislativo recante attuazione della riforma fiscale, in materia di fiscalità internazionale, Atto del Governo n. 90, novembre 2023”.
Purtroppo, esistono realtà pesanti, come quelle, sopra esposte, da CGIA Mestre, realtà che non possiamo accettare, anche se, ovviamente, siamo per un’economia libera e colpita, quindi, il meno possibile dal fisco. Ma, che cifre di enorme entità , si sottraggano al fisco del paese, in cui operano, è fatto che contrasta, con la situazione del modesto cittadino, che salda sino all’ultimo centesimo. E’ vero anche, che un Stato deve risparmiare il massimo, nella conduzione della sua pubblica amministrazione – pur garantendo servizi efficaci e all’altezza dei tempi – onde abbisognare il minimo possibile di ricorrere all’imposizione fiscale. Ma, che, per esempio, il nostro Paese, perda 10mld di euro l’anno, non è, comunque, ammissibile, pur tenendo presente l’alto contributo all’occupazione, che crea sul territorio, una multinazionale. Inoltre, ci sembra esageratamente bassa l’aliquota del 15% della Global Minimum Tax, sui profitti, in Italia, dove, il semplice reddito da interessi – se, poi, c’è – anche su modeste giacenze, è tassato, superesageratamente, al 26%... Certo, la cosa va riesaminata, in sede europea e globale, avendo attenzione, tuttavia, a che, l’impresa interessata, a causa di maggiore imposizione, non si sposti completamente all’estero.
Pierantonio Braggio
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