L’Età del Ferro, nel Nuovo Museo Archeologico Nazionale di Verona: la sepoltura d’una bambina, la tomba del cavallo e la tomba del Principe bambino
Il nuovo Museo Archeologico Nazionale di Verona, dal 26 ottobre 2022, si è arricchito di una nuova, ampia sezione, interamente riservata all’Età del Ferro, curata da Giovanna Falezza, direttrice del Museo, e da Luciano Salzani, con una serie di focus, su rinvenimenti e oggetti, di particolare interesse. Si tratta d’una documentata storia del territorio veronese, luogo di incontri e di contatti, che, nel Veronese, si intrecciarono tra Veneti, Etruschi e Reti. L’Età del Ferro si sviluppò nel corso del primo millennio a.C., per terminare con l’arrivo dei primi Romani, all’incirca nel 2° secolo a.C.
“Già a partire dal 9° secolo a.C., nel Veronese, sia in pianura che in collina, sorgono numerosi abitati, anche di rilevanti dimensioni: ad esempio il centro veneto di località Coazze di Gazzo Veronese, che si estendeva su una superficie di oltre 60 ettari, con ampie aree di insediamenti abitativi, accanto ad aree artigianali, oltre, naturalmente, alle estese necropoli, dalle quali provengono oggetti particolari, a lavorazione raffinatissima, e testimonianti la ricchezza dei contatti di cui il Veronese è teatro, nel citato periodo”, segnala la direttrice, Giovanna Falezza. Ricchissimi materiali rinvenuti negli scavi delle necropoli forniscono i contenuti della nuova sezione. Sepolture di uomini e donne, ma, anche di cavalli veneti, citati da fonti latine e greche, per la loro agile bellezza. Lo scheletro d’uno dei due “Cavalli delle Franchine”, necropoli in territorio di Oppeano, un maschio, morto a 17-18 anni, 135 cm al garrese, fu trovato, in una piccola fossa, coricato sul fianco destro, con le gambe ripiegate. Importante, la tomba del “Principe bambino”, una delle 187 della necropoli celtica di Lazisetta, a Santa Maria di Zevio, unica per la ricchezza del corredo funebre. E’, poi, la sepoltura di un bambino di 5-7 anni, le cui ceneri vennero deposte assieme ad un sontuoso carro da parata (di cui restano gli elementi metallici, quali mozzi, delle ruote, timone, un cerchione di ruota, due morsi dei cavalli, che lo trainavano) e ad un ampio corredo tipico, solitamente dei guerrieri adulti (spada, lancia, giavellotto e scudo), oltre a vasellame ceramico e bronzeo, monete, attrezzi agricoli e strumenti per il banchetto (spiedi, coltelli, alari e un graffione di ferro). All’interno di alcuni vasi erano residui di ossa di maiale, resti del banchetto funebre. Ricostruito il rituale, con cui, questo giovane “principe” fu sepolto: dopo essere stato cremato, insieme ad alcune offerte, le sue ceneri furono raccolte in un contenitore in materiale organico (stoffa o cuoio) e deposte nella fossa assieme al resto del corredo; al di sopra fu collocato il carro, capovolto e parzialmente smontato; infine, dopo un parziale interramento, fu acceso un secondo grande fuoco rituale. Alla fine la tomba fu probabilmente coperta da un tumulo che segnalava l’elevato stato sociale del defunto. Una tomba (VII sec. a.C.), rinvenuta in una delle tre necropoli di Oppeano, appartenne ad una bambina di pochi anni. All’interno dell’urna, al di sopra delle ossa combuste, oltre ad alcuni elementi di corredo, alcuni elementi molto particolari: conchiglie, di cui una forata, legate forse alla sfera del gioco; un astragalo, probabilmente un amuleto; infine un uovo di cigno, uccello acquatico, ritenuto sacro. Proprio quest’ultimo assume un significato rituale molto importante, interpretabile come simbolo di rinascita e rigenerazione. “Con l’allestimento delle sale dell’Età del Ferro abbiamo, voluto anche inserire due esperienze immersive e alcune postazioni multimediali, destinate ad arricchire la narrazione dei reperti presentati nel percorso museale” – aggiunge Chiara Matteazzi. “L’uso delle tecnologie in campo museale consente infatti di migliorare con nuovi linguaggi la comprensione di tematiche complesse legate ai reperti esposti, utilizzando tecniche di storytelling per stimolare la curiosità del visitatore e amplificare il coinvolgimento cognitivo ed emozionale. L’obiettivo è quello di trasferire al visitatore, in maniera adeguata, non solo informazioni, ma, anche emozioni, rendendolo partecipe e coinvolgendolo nella narrazione”. “I lavori sono proseguiti senza soluzione di continuità da febbraio e con ottimi risultati”, conclude il dirigente della Direzione regionale Musei Veneto, Daniele Ferrara. “Terminato l’intero terzo piano del museo, contiamo ora di avviare, molto presto, il cantiere per la sezione romana, che i veronesi (e non solo) attendono da molti anni”. Un’importante storia, antichissima, non di parole, ma, testimoniata, da oggetti del tempo, ritrovati, bene conservati e, diremmo, parlanti, che, in tal modo, si fanno capire e permettono di capire la lunga storia della terra veronese, nodo particolare e, quasi, obbligato, d‘arrivo e di presa di stanza di popolazioni, provenienti da est e dal nord.
Pierantonio Braggio

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