Film Festival della Lessinia I vincitori della 31a edizione
Marianne Chaud trionfa al Film Festival della Lessinia
Con il capolavoro La route, la documentarista ed etnologa francese conquista la Lessinia d’Oro, il massimo riconoscimento della rassegna cinematografica internazionale di Bosco Chiesanuova (Verona), e il Premio del pubblico. Premiate alla trentunesima edizione, che si è conclusa sabato 31 agosto, pellicole che hanno portato sul grande schermo del Teatro Vittoria immagini da luoghi che sono tuttora o che sono stati scenari di guerra – dalle montagne del Caucaso fino alla Valle del Giordano – a testimoniare l’urgenza della pace. Protagoniste poi terre alte vicine, come quelle della Lessinia, e lontane. Il grande schermo ha illuminato anche tematiche legate al cambiamento climatico e allo stigma della malattia, alla necessità di ricordare il passato laddove può regalare fiducia al presente. Sulla selezione in concorso, commenta la Giuria internazionale: “Il raccolto di film di quest’anno è estremamente ricco, a tratti pieno di tragedia, a tratti colmo di humour e speranza, ma mai arbitrarioâ€.
Comunicato stampa Bosco Chiesanuova (Verona), 31 agosto 2025
Il Premio della Giuria è stato assegnato a La muraille (Francia, Svizzera 2025) della regista Callisto Mc Nulty. Questa la motivazione: “La Muraille ci fa scoprire un mondo nascosto nelle montagne della Spagna, circondato da un muro che separa i sani dai malati. Con curiosità inesauribile e un approccio visivo delicato, la regista ricostruisce il passato del sanatorio e lo collega al presente. Gli abitanti di dentro e di fuori ci fanno riflettere se questo luogo isolato sia più di una semplice prigione. Può trasformarsi in una casa o persino in un paradossale paradiso. Il modo in cui Callisto Mc Nulty raffigura una malattia fraintesa è altamente artistico e profondamente umano. Onoriamo il suo film La Muraille con il Premio della Giuriaâ€.
La lebbra è nell’immaginario collettivo associata alla paura del contagio e alle deformazioni mostruose che colpiscono chi ne è affetto. Ecco che i lebbrosi sono sempre stati emarginati e reclusi. Nel sanatorio di Fontilles, costruito nel 1905 in un luogo isolato sulle montagne del sud-est della Spagna, un muro separa il mondo dei malati da quello dei sani. La regista, dopo aver scoperto e letto centinaia di “lettere dall’altro mondo†scritte da un padre gesuita durante le sue visite all'ospedale a inizio Novecento, è salita a lassù a incontrare i malati, i medici, i dipendenti e gli abitanti del piccolo paese di Campell. Le testimonianze ci svelano i pregiudizi associati a questa malattia e lo stato d’animo di chi ne è affetto. Il sanatorio, che ancora oggi ospita degli ammalati di lebbra, non è descritto soltanto come un luogo di reclusione, ma anche come una casa dove molti si sono sentiti accolti. La muraglia che lo circonda perde quindi il suo ruolo di confine per diventare un’occasione di incontro.
Con una menzione speciale della Giuria internazionale è stata inoltre premiata la regista israeliana Hadara Oren per il documentario The shepherd’s keeper (Israele 2024).
Motivano i giurati: “Questo film ci porta in una ‘zona di tiro’ nella Valle del Giordano. Con tensione costante, il film ritrae un conflitto in cui tutto ruota intorno ai confini, sia fisici che ideologici, che dividono comunità e vite. La regista mostra come persino i telefoni ordinari diventino strumenti di lotta e resistenza, trasformati in armi. Portando alla luce ciò che molti preferirebbero ignorare, il film ci ricorda che il silenzio non è un’opzione. In riconoscimento del suo coraggioso e necessario sguardo sull’attuale situazione di urgenza, onoriamo The Shepherd’s Keeper con una menzione specialeâ€.
Da tempo immemore i beduini palestinesi vivono nella Valle del Giordano. Sul pietrame dell’arido deserto, conducono le loro capre a pascolare la poca erba secca che trovano. Ma la valle è sotto il controllo militare e civile di Israele e i beduini vengono evacuati, spostati, deportati. Soldati armati e coloni ebrei incappucciati li cacciano dalla “zona del fuocoâ€, mentre attivisti caparbi lottano per difenderli dalle violente minacce e armati di telefoni accorrono dove si svolgono i contrasti e filmano tutto, rischiando la propria incolumità . Giovani soldati e soldatesse, dei ragazzini con le armi, telefonano spaesati ai loro superiori per chiedere come comportarsi. Gli attivisti credono in una convivenza possibile, ma la situazione sembra compromessa e le ragioni inconciliabili: da una parte i bastoni dei pastori, dall’altra i fucili dei soldati. Il documentario, prodotto senza il supporto di fondi pubblici di Israele, racconta di cittadini con idee ben differenti da chi li governa.
Premi speciali
A Ivan Vlasov e Nikita Stashkevich è stato attribuito il Premio al Futuro al migliore regista giovane per il film U vetra net hvosta (Russia 2024). Il riconoscimento è concesso dal Curatorium Cimbricum Veronense in memoria di Piero Piazzola e Mario Pigozzi.
Secondo la Giuria: “I giovani registi, con finezza e abilità fotografiche, ricostruiscono il fascino del paesaggio siberiano e l’intimità della vita familiare nelle iurte. Tre sorelline, strappate con l’elicottero dalla loro terra per essere “civilizzateâ€, nell’asettico edificio scolastico, nelle moderne camerette, con le fredde divise, rimpiangono le fiabe che raccontava la nonna per addormentarleâ€.
“Yamalâ€, nella lingua parlata dal popolo nomade dei Nenets, significa “fine del mondoâ€. La penisola dello Yamal si trova nella profonda Siberia del nord, affacciata al Mare di Kara. Nika è una delle giovani figlie di una famiglia nomade, allevatrice di renne. Presto, con le sue due sorelle, dovrà lasciare la iurta e la sconfinata tundra per frequentare un collegio nella cittadina più vicina. Un’insegnante viene a preparare le ragazzine e le accompagna fino al momento della separazione dalla famiglia. Con particolare gusto fotografico, i registi restituiscono il fascino del paesaggio e l’intimità della vita familiare. Queste bambine compiono gesti profondamente legati alla loro terra, come quando si cibano del fegato ancora caldo della renna appena uccisa o ascoltano nel tepore della iurta le lunghe fiabe prima di addormentarsi. Quando un elicottero verrà a prelevarle per portarle nelle asettiche aule di una scuola, nel loro sguardo rassegnato risuonerà la nostalgia per quella terra spazzata dal vento.
Il Premio Montagne Italiane per il miglior film della sezione Montagne è andato a Moving Mountains (Italia 2025) dal cineasta e videomaker Andrea Costa. Il riconoscimento è concesso dalla Cassa Rurale Vallagarina.
Motivano i giurati: “‘Se ti metti in testa che puoi spostare una montagna, la sposterai’. Ecco per noi il senso di questo film che vuole sorvolare e sorvola limiti e confini. L’intimità dei dialoghi profondi fra culture e provenienze diverse, il rispetto reciproco e l’amore verso il prossimo fanno di questo lavoro, nel gioco di opposti che lo caratterizza, un racconto di fatica ma anche di trasformazione e di speranza, una autentica boccata d’ossigeno per un futuro migliore per tuttiâ€.
Emigrato dalla Guinea, il giovane Moussa trova la nuova casa nel maso di Rita, una contadina del Südtirol. Il mondo con cui si confronta è molto diverso da quello della terra da dove è partito, eppure sembra che lassù il giovane abbia trovato il senso di appartenenza a una nuova patria. Tra i gesti quotidiani del lavoro e della fede, Moussa e Rita, lontani per origine ma vicini nei desideri, cercano un equilibrio tra di loro, condividendo un bisogno di famiglia che li accomuna. Nondimeno il giovane frequenta anche i ragazzi provenienti dalla sua terra, alla ricerca della sua cultura e per non perdere il legame con le proprie radici. La sua vicenda lo accomuna ai moltissimi che, arrivati in terra straniera, affrontano ambienti, consuetudini e tradizioni diversi dai propri, ancor più se la loro nuova vita è in montagna. Una montagna che, come suggerisce il titolo del film, si sta “muovendo†anche grazie ai nuovi montanari che vengono ad abitarci, come Moussa.
Menzione speciale del Premio Montagne Italiane a La religione della libertà di Marco Zuin e Giulio Todescan, così motivata: “Sfruttando in modo appropriato una pluralità di fonti e grazie a diverse tecniche di regia, il film ci fornisce un ritratto puntuale, preciso e profondamente umano del capitano Toni Giuriolo, uomo integerrimo che fece del valore etico delle scelte la sua caratteristica, uomo colto e generoso che donò la vita alla resistenza culturale e di azione contro la barbarie, educando con il suo esempio e la sua fiducia nell’umanità , unico confine e insieme punto di partenza per la sua missione di apostolo della religione della libertà â€.
“Capitan Toni. Apostolo della libertà â€. Queste parole sono scolpite sul cippo eretto a Lizzano in Belvedere, nel luogo dove Antonio Giuriolo cadde in combattimento, il 12 dicembre 1944, sotto le raffiche delle mitragliatrici tedesche appostate sul Monte Belvedere, caposaldo della Linea Gotica. Della sua memoria non sono però solo le lapidi a restare, ma soprattutto il vivido esempio di uomo che scelse come sua religione la libertà . Nato a Castello Arzignano, sulle colline della valle vicentina del Chiampo, giovanissimo apprese dal padre i valori dell’altruismo e dell’antifascismo. Dopo l’8 settembre 1943 salì in montagna. Per i suoi compagni, giovani cresciuti nel conformismo dell’ideologia fascista, fu il “Capitan Toniâ€, maestro di pensiero critico. Il documentario ricostruisce la vita di Antonio Giuriolo attraverso le testimonianze di nipoti e studiosi, la ricerca storica compiuta da due studenti, i documenti d’archivio e le immagini delle montagne delle Piccole Dolomiti e dell’Appennino Tosco-Emiliano.
Ad ottenere il Green Planet Movie Award per la migliore opera cinematografica della sezione FFDLgreen sono stati Francesco Clerici e Tommaso Barbaro per il cortometraggio The ice builders (Italia, India 2024). Il riconoscimento è concesso da My Planet 2050. Questa la motivazione: “Per la sua straordinaria capacità di tradurre il dramma del cambiamento climatico in un’opera di profonda poesia e resilienza umana. Il film celebra la tenacia di chi si oppone allo scioglimento dei ghiacciai, invitandoci a riflettere sulla fragilità del nostro ecosistema e sul nostro ruolo come custodi del Pianetaâ€.
Lo scioglimento dei ghiacciai è un fenomeno con cui devono fare i conti anche le popolazioni del Ladakh, in Tibet. Nella remota e desertica valle dello Zanskar, a un’altitudine compresa tra i 3.000 e i 7.000 metri, il progressivo ritirarsi del ghiaccio mette a repentaglio la coltivazione dei campi. Sciogliendosi, a primavera, i ghiacciai forniscono l’acqua per la coltivazione dei campi. Ma il prezioso liquido è sempre più scarso, tanto che gli abitanti si ingegnano a costruire degli stupa di ghiaccio, vere e proprie torri gelate per conservare l’acqua d’inverno e contribuire, in primavera, a ricaricare con essa le falde acquifere. Una lotta per la sopravvivenza dove la gente dello Zanskar fa tesoro delle antiche tradizioni, gli stupa di ghiaccio, rendendole efficaci con tecniche e pratiche moderne, per poter continuare a vivere lassù.
Altri premi
A vincere il Premio del Parco della Lessinia per il miglior film che indaga il rapporto tra l’Uomo e l’ambiente montano è il cortometraggio La strada di Podestaria (Italia 2025) di Giorgio Oppici e Aldo Ottaviani. Il riconoscimento è concesso dal Parco Naturale Regionale della Lessinia. La motivazione della Giuria: “La strada di Podestaria, nel cuore del Parco Naturale Regionale della Lessinia, è una delle strade che più di ogni altra possiede una forte connotazione simbolica, custodisce valori di un patrimonio storico di esperienze umane secolari. La pace e il silenzio dei pascoli, contemplati e ammirati da Carlo Stuparich nel suo soggiorno e raccontati dal fratello Giani, vengono riprodotti in maniera suggestiva e attuale. Il film riesce a valorizzare il sentimento di rispetto per un paesaggio naturale integro allora come oraâ€.
I fratelli triestini Giani e Carlo Stuparich, scrittori e volontari nella Prima Guerra Mondiale, esperirono in maniera diversa un legame con i Monti Lessini. Nel 1915, Carlo venne assegnato come ufficiale alla costruzione della strada militare di Podestaria, sugli alti pascoli. Da lassù scrisse lettere commoventi al fratello Giani. Dalle sue parole traspare la malinconia per i giorni trascorsi sui declivi di quei pascoli spogli e carezzati da “nebbiacceâ€. Finita la guerra e morto Carlo, suicida in battaglia per non cadere nelle braccia del nemico, Giani tornò lassù, come in un pellegrinaggio, e scrisse il racconto La strada di Podestaria. Fin dalla scelta del bianco e nero, i registi sembrano voler evocare lo stato d’animo vissuto da Carlo, tra stupore e la sua solitudine. Il paesaggio dell’alta Lessinia è raccontato nel silenzio, nella contemplazione degli alti pascoli solcati da bianche strade che furono di guerra e oggi sono percorsi di pace dell’anima.