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Domenica 4 Maggio 2025
Veneto: fra 10 anni, quasi 239mila persone in età lavorativa in meno. Con una società che invecchia, è a rischio il futuro del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del turismo. A trarne vantaggio solo le banche.

Le proiezioni demografiche indicano che, entro i prossimi dieci anni, la popolazione in età lavorativa[1] presente in Veneto diminuirà di quasi 239mila unità (precisamente 238.745), pari a una riduzione del 7,8 per cento. All’inizio del 2025 questa fascia demografica contava poco più di 3 milioni di veneti[2]; si prevede che nel 2035 la platea scenderà a 2,8 milioni. Tale calo è attribuibile al progressivo invecchiamento della popolazione: con un numero sempre più ridotto di giovani e un consistente gruppo di baby boomer[3] prossimo all’uscita dal mercato del lavoro per raggiunti limiti d’età, il nostro Paese rischia lo “spopolamento” della coorte anagrafica potenzialmente occupabile. Va sottolineato che tutte le 107 province italiane monitorate in questo studio registreranno nei prossimi dieci anni una variazione assoluta negativa, confermando che il fenomeno colpirà indistintamente tutte le aree del Paese. L’analisi è stata realizzata dall’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato le previsioni demografiche dell’Istat. Previsto un progressivo rallentamento del Pil. Se si considera il declino demografico insieme all’instabilità geopolitica, alla transizione energetica e a quella digitale, nei prossimi anni le imprese sono destinate a subire dei contraccolpi molto negativi. La difficoltà, ad esempio, nel reperire giovani lavoratori da inserire nelle aziende artigiane, commerciali o industriali è un problema sentito già oggi, figuriamoci tra un decennio. È importante sottolineare che chi spera in un’inversione del trend demografico rischia di rimanere deluso, poiché non esistono misure efficaci in grado di modificare questa tendenza in tempi ragionevolmente brevi. Inoltre, nemmeno il ricorso alla manodopera straniera potrà risolvere completamente la situazione. Di conseguenza, dobbiamo prepararci a un progressivo rallentamento del Pil. Va inoltre considerato che una società con una popolazione sempre più anziana e meno giovane dovrà affrontare un aumento rilevante della spesa previdenziale, sanitaria e assistenziale, con implicazioni molto negative anche sui nostri conti pubblici. Tra le imprese saranno le Pmi le più penalizzate. Da qualche anno in tutto il Paese le imprese denunciano grosse difficoltà nel reperire personale qualificato da inserire nei propri organici. Nei prossimi anni, tuttavia, il Mezzogiorno potrebbe incontrare meno problemi rispetto al Centronord. A differenza di quest’ultimo, infatti, il Sud e le Isole presentano tassi di disoccupazione e inattività significativamente elevati, che potrebbero consentire di colmare almeno parzialmente le lacune occupazionali previste soprattutto nel settore agroalimentare e in quello turistico-ricettivo (hotel, ristoranti e caffetterie). È altresì evidente che molte aziende, in particolare quelle di piccole dimensioni, saranno costrette a ridurre gli organici a causa dell’impossibilità di procedere ad assunzioni. Per quanto riguarda le medie e grandi imprese, invece, la problematica potrebbe risultare meno rilevante: grazie alla possibilità di offrire salari superiori alla media, orari flessibili, benefit e pacchetti significativi di welfare aziendale, i giovani presenti sul mercato del lavoro tenderanno a preferire le realtà più strutturate piuttosto che le piccole e micro imprese che solo in piccola parte sono in grado di erogare tali vantaggi. Ad avvantaggiarsene potrebbero essere solo le banche. Un Paese con una popolazione in progressivo invecchiamento potrebbe affrontare, nei prossimi decenni, significative sfide nel mantenimento dell’equilibrio dei conti pubblici, soprattutto a causa dell’incremento delle spese sanitarie, pensionistiche, farmaceutiche e assistenziali. La CGIA sottolinea che una ridotta presenza di giovani under 30 e un’alta incidenza di over 65 potrebbero determinare ripercussioni negative su settori economici strategici, comportando una contrazione strutturale del Pil. Considerando la minore propensione alla spesa tipica della popolazione anziana rispetto a quella giovanile, una società prevalentemente composta da persone in età avanzata rischia di ridurre il volume d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti[4], della moda e del settore ricettivo (HoReCa). Al contrario, il settore bancario potrebbe essere tra i pochi a beneficiare di alcuni effetti positivi: grazie a una maggiore inclinazione al risparmio rispetto alle altre coorti anagrafiche, la popolazione anziana potrebbe incrementare il valore economico dei propri depositi, favorendo così le istituzioni finanziarie. Veneto tra le regioni del Nord e Rovigo tra le province del Centronord registreranno i risultati peggiori. Secondo l’elaborazione della CGIA le contrazioni della popolazione in età lavorativa più importanti riguarderanno, in particolare, il Mezzogiorno. Dei 3 milioni di persone in meno che occuperanno la fascia anagrafica tra i 15 e i 64 anni, la metà interesserà le regioni del Sud. Lo scenario più critico investirà la Sardegna che entro il prossimo decennio subirà una riduzione di questa platea di persone del 15,1 per cento (-147.697 persone). Seguono la Basilicata con il -14,8 per cento (-49.685), la Puglia con il -12,7 per cento (-312.807), la Calabria con il -12,1 per cento (-139.450) e il Molise con il -11,9 per cento (-21.323). Come dicevamo più sopra, il Veneto registrerà una flessione del 7,8 per cento, pari al dato medio nazionale. Tra tutte le regioni del Nord siamo quella con la riduzione della popolazione lavorativa più importante. Per contro, le regioni meno interessate da questo fenomeno saranno il Trentino Alto Adige con il -3,1 per cento (-21.256) la Lombardia con il -2,9 per cento (-189.708) e, infine, l’Emilia Romagna con il -2,8 per cento (-79.007) (vedi Tab. 1 e Graf. 1). A livello provinciale, invece, la flessione più importante si verificherà a Nuoro con il -17,9 per cento. Seguono la Sud Sardegna con il -17,7, Caltanissetta con il -17,6, Enna con il -17,5 e Potenza con il -17,3. In valore assoluto la provincia che subirà la perdita più importante è Napoli con -236.677 persone. Tra le realtà venete quella con lo score più negativo è Rovigo. Il capoluogo polesano subirà una diminuzione del 12,4 per cento (-17.112 persone). In termini percentuali nessun’altra provincia del Centronord è destinata a fare peggio. Seguono Belluno -9,9 (-11.955), Venezia -9,4 (-48.860), Vicenza -8,7 (-47.351), Treviso -7,7 (-42.846), Padova -7,4 (-44.183) e Verona 4,4 (-26.445). Nota di CGIA Mestre,3 maggio 2025. Note: [1] Tra i 15 e i 64 anni; [2] A inizio 2025 gli occupati totali presenti in Veneto erano 2,2 milioni; [3] Persone nate negli anni ’60 del secolo scorso; [4] Minore propensione a viaggiare e ad acquistare un’auto nuova. C’è poco da commentare, sulla dettagliata nota di CGIA, sopra riportata, se non dire che la stessa propone un quadro profondamente realistico di una situazione, sempre più complicata, tanto discussa, ma, raramente posta sul tavolo, per una soluzione, se non definitiva, almeno adatta alla criticità attuale. Situazione, che va, velocissimamente e sempre più pesantemente, evolvendosi e che, come tale, presenta numerosi ostacoli da affrontare, accompagnata da considerazioni, che costituiscono un invito ad agire, per una buona sopravvivenza della società, affrontando i nodi, da CGIA evidenziati e che, con il passare del tempo, potranno incidere negativamente, addirittura, sul Pil stesso... Aspetti, che, già, in parte, complessa realtà, richiedono di provvedere, con massima rapidità ed incisività.
Pierantonio Braggio





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