Guerra Israele-Iran: nessun aumento al distributore. Ma, per le imprese venete, bollette su di 1,5 miliardi. Non fu così nel 2022, dopo 15 giorni dall’invasione russa in Ucraina, il costo della benzina salì del 17% e il diesel addirittura del 24%
A poco più di una settimana, dallo scoppio della guerra tra Israele e Iran – informa CGIA Mestre, il 21.6.25 – in Italia, non abbiamo ancora registrato alcun significativo aumento del prezzo alla pompa dei carburanti. Anzi, le prime indicazioni segnalano un leggero ribasso delle quotazioni di gran parte dei prodotti petroliferi. Sia chiaro: è ancora presto per fare un primo bilancio, tuttavia la situazione odierna è molto diversa da quella verificatasi nel febbraio del 2022, quando la Russia invase l’Ucraina. Allora, dopo 15 giorni dall’inizio delle ostilità, il prezzo della benzina salì del 16,9 per cento, quello del diesel addirittura del 23,8 per cento. Se, in termini monetari, a inizio marzo di tre anni fa il costo della “verde” superò i 2 euro al litro, per il gasolio, il prezzo massimo lambì questa soglia. Solo successivamente, grazie al taglio delle accise introdotto dal Governo Draghi, i prezzi alla pompa sino alla fine del 2022 scesero ai livelli registrati al termine dell’anno precedente. In questi giorni, quando ci rechiamo nell’area di servizio a fare il pieno al nostro veicolo (auto, furgone aziendale, mezzo pesante, etc.), in modalità self la benzina la paghiamo attorno a 1,7 euro al litro, mentre il gasolio intorno a 1,6. ,E’, comunque, utile sottolineare che l’Iran non ha la stessa capacità produttiva della Russia. Secondo i dati riferiti al 2024[1], su quasi 103 milioni di barili di petrolio estratti nel mondo ogni giorno, la Repubblica Islamica contribuisce per “soli” 3,8 milioni, mentre Mosca per 11,2. Certo, se la situazione dovesse precipitare, con un allargamento del teatro di guerra eo una chiusura dello Stretto di Hormuz – dove, ricordiamo, transita il 30 per cento circa del petrolio mondiale e quasi il 20 per cento del gas – quasi sicuramente assisteremmo ad uno choc petrolifero spaventoso e ad una impennata dei prezzi su scala globale di tutte le materie prime. Dopo aver messo a punto queste riflessioni, l’Ufficio studi della CGIA tiene a precisare che di fronte all’orribile tragedia della guerra – che provoca morti, feriti, distruzione e miseria – parlare di effetti economici in capo a Paesi, come il nostro, che vivono a 3.500 chilometri dal conflitto, rischia di essere cinico e irrispettoso, in particolare nei confronti delle vittime di questo dramma. Bollette: rincari top in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Se, come abbiamo visto, più sopra, almeno per il momento non sono previste tensioni sul fronte dei prezzi dei carburanti, la stessa cosa non possiamo ipotizzarla per l’energia elettrica e il gas. Ancorché gli effetti sulle bollette delle imprese non siano riconducibili alla guerra in Medio Oriente, l’Ufficio studi della CGIA ha stimato in 13,7 miliardi in più (pari al +19,2 per cento) il costo che le imprese italiane dovranno sostenere quest’anno rispetto al 2024. Di cui 9,7 per le bollette della luce e 4 per quelle del gas. A livello regionale, visto che la maggioranza delle attività produttive e commerciali sono ubicate al Nord, i rincari relativi al 2025 di luce e gas interesseranno, in particolare, le aree che presentano i consumi maggiori: vale a dire la Lombardia con un aggravio di 3,2 miliardi di euro, l’Emilia Romagna con +1,6 miliardi, il Veneto con +1,5 e il Piemonte con +1,2. Sull’incremento di costo previsto per quest’anno che, ricordiamo, a livello nazionale dovrebbe essere pari a 13,7 miliardi, 8,8 (pari al 64 per cento del totale), saranno in capo alle aziende settentrionali. Le aree regionali che, invece, saranno meno interessate dagli aumenti sono, ovviamente, quelle più piccole come la Basilicata che dovrebbe registrare una variazione pari a +118 milioni, il Molise con +64 e la Valle d’Aosta con +44. La metodologia di calcolo. L’Ufficio Studi della CGIA è giunto a questi risultati ipotizzando che per l’anno 2024[2] e per il 2025, i consumi in capo alle aziende siano gli stessi di quelli registrati nel 2023. Per quanto concerne i costi, invece, quelli del 2025 sono stati calcolati considerando un prezzo medio dell’energia elettrica di 150 euro per MWh e di 50 per il gas, rispettando la proporzione di 3 a 1 tra i due prezzi così come verificatosi mediamente negli anni 2023 e 2024 dal momento che i prezzi attuali di energia elettrica e gas viaggiano su una media semestrale (da gennaio 2025 ai primi 15 giorni di giugno) di 119 euro per MWh per i primi e di 43 per MWh per i secondi, l’ipotesi media annua di 150 euro al MWh e di 50 MWh sarebbe rispettata con prezzi medi dell’ordine dei 180 MWh per l’energia elettrica e di 60 MWh per il gas nell’intero secondo semestre del 2025: si tratterebbe quindi di una ipotesi di massima come indicato in precedenza. Si fa presente che l’aumento dei costi energetici per le imprese risulterà meno che proporzionale rispetto alla variazione dei prezzi della borsa energetica, in quanto l’aumento del prezzo della materia prima non impatta su tutto il costo complessivo della bolletta (che comprende anche costi di commercializzazione, trasmissione, oneri, tasse, margini ecc.). Pertanto, rispetto ad un’ipotesi di aumento del prezzo della materia prima del 38% (stimato per il 2025 rispetto al 2024), le rispettive crescite dei costi per le imprese risulteranno inferiori (+18% per l’energia elettrica e +25% per il gas). I settori più a rischio rincari. Con un eventuale aumento dei costi delle bollette elettriche, i settori più “colpiti” potrebbero essere quelli che registrano i consumi più importanti. Riferendoci ai dati dei consumi pre-Covid, essi sono: metallurgia (acciaierie, fonderie, ferriere, etc.) commercio (negozi, botteghe, centri commerciali, etc.) altri servizi (cinema, teatri, discoteche, lavanderie, parrucchieri, estetiste, etc.) alimentari (pastifici, prosciuttifici, panifici, molini, etc.) alberghi, bar e ristoranti trasporto e logistica chimica. Per quanto concerne le imprese gasivore, i comparti che potrebbero subire gli effetti economici maggiormente negativi potrebbero essere: estrattivo (minerali metalliferi ferrosi e non ferrosi, etc.)lavorazione e conservazione alimenti (carni, pesce, frutta, ortaggi, oli e grassi, etc.) produzione alimentare (pasta, pasti, gelati, etc.) confezione e produzione tessile, abbigliamento e calzature, fabbricazioneproduzione legno, carta, cartone, ceramica, utensileria, plastica e chimica fabbricazione apparecchiature elettriche ed elettroniche, macchine utensili e per l’industria, etc. costruzione di navi e imbarcazioni da diporto. _______________ [1] https:it.dailyforex.com [2] I dati non sono ancora stati ufficializzati.
La notizia, sopra proposta, di una fortunata, attuale non lievitazione della quotazione del petrolio, a causa del conflitto, in corso, nel Medio Oriente, almeno sinora, consola, certamente, ma, la situazione è tale e soggetta ad improvvisi eventi e decisioni, che potrebbero cambiare, in un momento, ogni considerazione. Un esempio, assieme ai continui attacchi fra contendenti, si è affacciata, sullo schermo mondiale, la minaccia della chiusura dello strategico Stretto Hormuz, via
marittima, situata fra il Golfo d’Iran e ed il Golfo di Oman, attraverso il quale vengono trasportati, verso il globo, un buon terzo di petrolio e di gas. Una tale misura non solo danneggerebbe, incisivamente, l’economia mondiale, che già risente del conflitto Russia-Ucraina, ma sarebbe motivo di ulteriori inasprimenti bellici… Tutto, non dimenticando, per le nostre imprese, il pesante ostacolo dei costi, da CGIA, sopra citati, da gas e da energia elettrica.
Pierantonio Braggio