“La fattoria degli animali”, metafora delle governance urbane
di Daniela Cavallo
Cerchiamo spesso chiavi di lettura per capire meglio la governance di un territorio: “La fattoria degli animali” di George Orwell appare purtroppo calzante, nello stile allegorico dell’autore, là dove nel romanzo pubblicato nel 1945, gli animali della fattoria si ribellano al padrone umano per creare una società più giusta, autogestita e solidale. Tuttavia, col tempo, il potere si concentra nelle mani dei maiali, che finiscono per comportarsi esattamente come gli uomini che avevano spodestato.
Condiviso il desiderio di società giusta, allo stesso modo spesso, la gestione del territorio — tra piani regolatori, progetti di valorizzazione e decisioni urbanistiche — può essere letta come un percorso che, pur nato con ideali di partecipazione, sostenibilità e tutela del patrimonio, rischia di trasformarsi in un sistema chiuso e autoreferenziale.
Così, parafrasando il racconto, ad esempio un PAT, Piano di Assetto del Territorio, pensato come strumento per una pianificazione condivisa e lungimirante che nasce con l’obiettivo di mettere ordine nella crescita urbana e proteggere il territorio, nel linguaggio orwelliano, potrebbe rappresentare il “Manifesto della rivoluzione”, il momento in cui tutti credono in un futuro migliore per la città tuttavia, man mano che le azioni si manifestano, le promesse iniziali si sfumano, scoprendo ad esempio che: “Tutti i cittadini sono uguali, ma alcuni cittadini sono più uguali degli altri.” Affermazione, sempre parafrasata dal libro, potrebbe riflettersi, ad esempio, nelle scelte su dove costruire, dove investire, cosa valorizzare e cosa lasciare decadere, spesso in base a logiche di potere più che di reale utilità collettiva.
Continuando con le similitudini, il centro storico di una città potrebbe essere come il “cortile dei maiali”, cuore identitario della fattoriacittà: è il palcoscenico su cui si vede con più evidenza la trasformazione orwelliana, come nella fattoria, dove i maiali si riservano i migliori spazi e i beni comuni diventano privilegio di pochi, così nel centro cittadino le scelte urbanistiche e commerciali possono finire per favorire interessi economici forti (turismo, rendita immobiliare, eventi di vetrina) a scapito della vita dei residenti e della tutela autentica del patrimonio.
E i cittadini come Gondrano, il cavallo laborioso che crede ciecamente nella causa comune e continua a ripetere: “Lavorerò di più.” Spesso, anche di fronte a scelte discutibili o progetti impattanti, la cittadinanza si mostra fiduciosa o rassegnata, credendo che “chi governa sa cosa fa”. Ma, come nel romanzo, il rischio è che il sacrificio e la pazienza dei cittadini non portino a una città più equa, bensì a un sistema che li esclude progressivamente dalle decisioni. Brutta fine fa il cavallo, viene portato al macello.
Altre volte, è da sottolineare che, nella realtà, gli abitanti sono indifferenti a come la governance procede, lamentandosi dei risultati poi solo a cose fatte.
Alla fine, la lezione orwelliana è chiara: ogni progetto collettivo degenera se perde trasparenza, controllo reciproco e spirito critico. Per le città questo significa che la governance del territorio deve restare realmente partecipata, aperta al confronto, e vigilata dai cittadini, affinché la “fattoria” non diventi una nuova dittatura del potere urbanistico.
Ognuno è responsabile e deve essere consapevole.