CGIA Mestre, 17.8.24: A.A.A. Artigiani cercasi. A rischio riparazioni e manutenzioni… Come ce la caveremo?
“Continua a scendere il numero complessivo degli artigiani, presenti in Veneto. Stiamo parlando di persone, che in qualità di titolari, soci o collaboratori familiari, svolgono un’attività lavorativa, prevalentemente manuale, e sono iscritti presso l’INPS, nella gestione artigiani. Se nel 2012, erano quasi 196.000 unità, rispetto al 2023, la platea complessiva è crollata del 23,4 per cento (-45.822), attestandosi su una soglia, che supera di poco i 150.000 lavoratori[1]. Se questa tendenza non sarà invertita stabilmente, non è da escludere che, entro una decina d’anni, sarà molto difficile trovare un idraulico, un fabbro, un serramentista o un elettricista in grado di eseguire un intervento di riparazione/manutenzione, presso la nostra abitazione o nel luogo dove lavoriamo. L’SOS è lanciato dall’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato i dati dell’INPS. In calo anche le imprese artigiane. Secondo i dati Infocamere/Movimprese, anche il numero delle aziende artigiane attive[2] è diminuito. Se nel 2007 (anno in cui si è toccato il picco massimo di questo inizio di secolo), le imprese in Veneto erano pari a 147.322 unità, successivamente sono scese costantemente fino a toccare nel 2023 la soglia di 120.746. Va, comunque, segnalato che questa riduzione della platea degli artigiani, presente nella nostra regione, in parte è anche riconducibile al processo di aggregazione/acquisizione che ha interessato alcuni settori, dopo le grandi crisi 2008/2009, 2012/2013 e 2020/2021. Purtroppo, questa “spinta”, verso l’unione aziendale, ha compresso la platea degli artigiani, ma ha contribuito positivamente ad aumentare la dimensione media delle imprese, spingendo all’insù anche la produttività di molti comparti; in particolare, del trasporto merci, del metalmeccanico, degli installatori impianti e della moda. Senza botteghe si estinguono le imprese familiari. La contrazione degli artigiani e delle loro attività si può notare anche a occhio nudo. Girando per le nostre città e i paesi di provincia sono ormai in via di estinzione tantissime botteghe artigianali. Insomma, non solo diminuisce il numero degli artigiani, ma anche il paesaggio urbano sta cambiando volto. Sono ormai ridotte al lumicino le attività artigiane storiche, che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e Tv, sarti, tappezzieri, etc. Attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare, che hanno contraddistinto la storia di molti quartieri, piazze e vie delle nostre città, diventando dei punti di riferimento per le persone che sono cresciute in questi luoghi. Non tutti sentono la crisi. Non tutti i settori artigiani hanno subito la crisi. Quelli del benessere e dell’informatica presentano dati in controtendenza. Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. Va altrettanto bene anche il comparto dell’alimentare, con risultati significativamente positivi per gelaterie, gastronomie, lavanderie a gettone e pizzerie per asporto ubicate, in particolare, nelle realtà ad alta vocazione turistica. Con saracinesche abbassate città più insicure. Il degrado urbano si sta allargando a macchia d’olio; basta osservare con attenzione i quartieri di periferia e i centri storici, per accorgersi che sono tantissime le insegne che sono state rimosse e altrettante sono le vetrine non più allestite, perennemente sporche e con le saracinesche abbassate. Sono un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane. Le città, infatti, non sono costituite solo da piazze, monumenti, palazzi e nastri d’asfalto, ma, anche, da luoghi dove le persone si incontrano, anche per fare solo due chiacchere. Queste micro attività conservano l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio. Senza botteghe a pagare il conto sono gli anziani. Con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane, che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani. Una platea sempre più numerosa della popolazione italiana, che conta più di 10 milioni di over 70. Non disponendo spesso dell’auto e senza botteghe sotto casa, per molti di loro, fare la spesa è diventato un grosso problema. Le cause delle chiusure. L’invecchiamento progressivo della popolazione artigiana, provocato in particolar modo anche da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e, in questi ultimi anni, anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali hanno costretto molti artigiani a gettare la spugna. Una parte della “responsabilità”, comunque, è ascrivibile anche ai consumatori, che, in questi ultimi dieci anni, hanno cambiato radicalmente il modo di fare gli acquisti, sposando la cultura dell’usa e getta, preferendo il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile fatto su misura sono ormai un vecchio ricordo; il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo on line o preso dallo scaffale di un grande magazzino. Dobbiamo rivalutare culturalmente il lavoro manuale. Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale. L’artigianato è stato “dipinto” come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali, che in passato sono stati determinanti, nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Oggi, invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie b. Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione, per parcheggiare, per qualche anno, i ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio. Per altri, invece, costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o negli istituti tecnici, di conseguire un diploma di scuola media superiore. E nonostante la crisi e i problemi generali che attanagliano l’artigianato, non sono pochi gli imprenditori di questo settore, che da tempo segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo. Tanti mestieri rischiano l’estinzione. Anche in Veneto, da anni, si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri. Più in generale, comunque, l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia, per rilanciare anche i “vecchi saperi”. Alla base di tutto, comunque, rimarrà il saper fare, che è il vero motore della nostra eccellenza manifatturiera. A Rovigo, Verona e Padova le flessioni percentuali più elevate. Tra il 2023 e il 2012 è stata Rovigo la provincia con il - 31 per cento ad aver registrato la variazione negativa più elevata, in Veneto. A livello nazionale, solo Vercelli ha subito una contrazione più significativa del territorio polesano. Seguono Verona con - 26,9, Padova con il - 24,7 e Belluno con il - 23,9 per cento. Le realtà, invece, ad aver subito le flessioni più “contenute” sono state Vicenza, con il -22, Venezia con il - 20,1 e, infine, Treviso, con il - 20 per cento. In termini assoluti, le realtà provinciali che hanno registrato in Veneto le decurtazioni più importanti sono state Verona con -10.267, Padova con - 9.774, Vicenza con -8.085, e Treviso con - 7.007. Per quanto riguarda le regioni, infine, le flessioni più marcate in termini percentuali hanno interessato l’Abruzzo con il -29,2 per cento, le Marche con il - 26,3 e il Piemonte con il - 25,8. Il Veneto si colloca all’8° posto nella classifica nazionale, con un “taglio” del 23,4 per cento (- 45.822 unità). In valore assoluto, invece, le perdite di più significative hanno interessato la Lombardia, con - 60.412 unità, l’Emila Romagna con - 46.696 e il Piemonte con - 46.139”.
_____________ [1] Tra questi, il numero dei collaboratori familiari è di quasi 105mila unità (7,2 per cento del totale). [2] Attenzione: il numero degli artigiani non corrisponde al numero delle imprese artigiane. Se in riferimento al primo dato ci riferiamo alle “teste”, in merito al secondo dato, invece, conteggiamo le unità locali. Esempio: supponiamo di analizzare un’impresa artigiana costituita da tre soci e due collaboratori familiari. Ebbene, si tratta di una sola azienda artigiana costituita, però, da 5 artigiani, ognuno dei quali con la copertura previdenziale dell’INPS.
Un quadro dettagliatissimo, su un fenomeno gravissimo, negativo, per l’economia e per la società, determinato, dal progresso, indubbiamente utile, ma, anche, soprattutto, come, sopra, da CGIA , chiaramente evidenziato, da una erroneamente diffusa e, vorremmo dire, realizzata e realizzantesi “svalutazione del lavoro manuale”, a favore di scelte studio, spesso, per motivi di inutile prestigio, miranti più alla teoria, che alla ”pratica”, della quale, tuttavia, ogni giorno, la realtà fortemente conferma l’assoluta necessità della sua presenza. La “pratica”, da sempre, è stata ed è, anche attualmente, considerata, ripetiamo, non culturale e non introduzione ad una futura carriera lavorativa, dignitosa e promettente, che quella di colui, che, a scuola e all’università, si è creato alta cultura. Questo diciamo, affermando che siamo, sommamente, per la cultura, e a massimo livello. Il fatto è che, oggi, non abbiamo personale tecnicamente specializzato, per cose piccole e grandi, con pericoli enormi, per la società tutta – certe aziende, ampie e piccole, è noto, per mancanza di personale, devono chiudere, a danno, anche, guarda caso, di chi “ha studiato”, in quanto, pure costui, ha bisogno di collaborazioni, talvolta, come per tutti, immediate, da parte di chi, con saggezza, esperienza e molta modestia, risolve problemi, con attrezzi diversi, in mano… L’artigiano, con il suo lavoro manuale, purtroppo, non è mai stato considerato a dovere, quale apportatore, con pazienza e conoscenza, di accurati benefici alla società, che nessuno altro può realizzare, se non lui. Basti pensare all’eventualità di una semplice perdita di acqua o di gas… Urgenza, urgenza di rimediare, ma…, a chi, oggi, rivolgersi? L’idraulico, l’elettricista, il sarto, il conduttore di un negozietto o il riparatore di beni essenziali ed altro erano e sono, oggi, ove, ancora esistano, veri e propri “salvatori”, da situazioni difficili, che richiedono intervento, più che immediato. Ebbene, questi lodevoli “pratici del mestiere”, oggi, mancano e verranno a mancare, sempre più, per piccoli e grandi lavori, creando vuoti irrimediabili, per città, paesi e, in particolare, per quella clientela, che, anziana, ha difficoltà di movimento e di rapidi contatti. Motivi, fra i tanti: mancanza di scuole professionali ad hoc, troppo peso, come dicevamo, attribuito a studi d’élite e, spesso, poca, scarsa importanza, volta a piccoli negozi o aziende artigianali, con relativi, modesti ambienti, che, in città o in paesi, ad evitarne la chiusura, avrebbero dovuto essere più considerati ed esentati da imposizione fiscale e da burocrazia, quali pesanti ostacoli ad una serena operosità… Negozi o aziende, che non disturbavano e non disturbano nessuno, ma, erano, sono e sarebbero, nonostante l’accavallarsi di pur utilissime innovazioni, di massimo aiuto alla società, anche nella creazione di economia, di rapporti fra persone, di amicizia e, quindi, di animazione. L’artigianato, grande o piccolo, il sapere pratico e storico, devono essere maggiormente riconosciuti e facilitati, per la loro somma importanza, per la società, di quanto lo siano, oggi. Dobbiamo, quindi, fare attenzione ed ogni sforzo, per mantenere in vita, tale insostituibile, modesto mondo-patrimonio dell’esperienza e della pratica manuali, grande essendo il suo sempre costruttivo contributo alla vita di città e di paesi e, quindi, dei relativi cittadini. Che, spesso, e in molti casi urgenti, non sanno a che santo rivolgersi… Salviamo, dunque, i “mestieri” in tema, prima che sia troppo tardi…! Quanto a specializzazioni, sempre, pure, ricercatissime, per l’adeguarsi delle imprese, positivamente forzate al nuovo tecnologico, potrebbero – ovviamente, soppesando bene la cosa, dal punto di vista dell’inevitabile spesa e di possibili vantaggi – anche con contributi statali o europei, creare apposite, proprie scuole, legate alle competenze ricercate. Occorre creare e diffondere una visione diversa della preparazione, per il mondo del lavoro e, quindi, per la vita, tenendo sempre presente, tuttavia, l’importanza-base della cultura.
Pierantonio Braggio ,

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